Trasferimento dopo denuncia per mobbing: legittimo

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Trasferimento dopo denuncia per mobbing: legittimo

In presenza di una causa promossa dal lavoratore per mobbing, è legittimo il trasferimento disposto dal datore di lavoro per incompatibilità ambientale, quando finalizzato a tutelare la salute del dipendente e a garantire il regolare funzionamento dell’ufficio.

In tale contesto, la riassegnazione si configura come misura organizzativa necessaria e proporzionata.

Tribunale di Milano: dopo causa per mobbing riassegnazione legittima

Con la sentenza n. 581 depositata il 10 febbraio 2025, il Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, si è pronunciato sul ricorso promosso da una dipendente, invalida civile assunta mediante collocamento obbligatorio, contro il proprio datore di lavoro.

Il caso esaminato

Oggetto della contestazione era un provvedimento di riassegnazione a una nuova sede lavorativa situata sempre nella città di Milano, ritenuto dalla ricorrente discriminatorio, ritorsivo e lesivo della sua posizione professionale.

La lavoratrice lamentava che tale riassegnazione costituisse un trasferimento illegittimo in violazione delle tutele previste dalla Legge n. 104/1992 per i lavoratori che prestano assistenza a familiari disabili in situazione di gravità.

Riteneva, inoltre, che le nuove mansioni affidatele nella nuova sede integrassero un demansionamento.

La ricostruzione dei fatti  

Dagli atti della causa era emerso che la lavoratrice aveva intrapreso un primo contenzioso con l’azienda per il riconoscimento di un superiore inquadramento contrattuale e per presunti comportamenti di mobbing e straining da parte dei superiori.

Durante la pendenza di tale giudizio, era stata avviata la procedura di riassegnazione che l’aveva portata a operare presso un nuovo ufficio, geograficamente vicino a quello originario, ma con diversa funzione e diversa collocazione organizzativa, pur sempre all'interno della medesima area aziendale.

A seguito di tale cambiamento, la dipendente aveva ritenuto di aver subito un atto ritorsivo, lesivo delle garanzie di cui alla Legge n. 104/1992, e pregiudizievole rispetto alle mansioni in precedenza svolte.

La decisione del Tribunale: provvedimento del datore legittimo

Il Giudice del lavoro di Milano ha ritenuto infondate tutte le doglianze sollevate dalla lavoratrice.

In primo luogo, è stato osservato che il presunto trasferimento non aveva comportato uno spostamento della sede lavorativa al di fuori del Comune di Milano.

Di conseguenza, non si configurava una lesione al diritto della ricorrente di assistere la madre disabile convivente, come disciplinato dall’art. 33, comma 5, della richiamata Legge n. 104.

La norma invocata, infatti, presuppone che il trasferimento renda più difficoltosa l’attività di assistenza, circostanza non riscontrata nel caso concreto.

Il provvedimento impugnato, inoltre, non poteva essere qualificato come trasferimento in senso proprio, ma come una riorganizzazione interna, avvenuta all’interno della stessa area aziendale, tra due sedi contigue e appartenenti alla stessa unità produttiva.

Quanto alla natura asseritamente discriminatoria o ritorsiva del provvedimento, il Giudice ha ritenuto che l’intervento datoriale fosse stato motivato da un’evidente incompatibilità ambientale, dedotta sia dal contenuto del ricorso presentato dalla stessa lavoratrice nel precedente giudizio, sia dalle doglianze interne dei superiori gerarchici, che avevano rappresentato un clima lavorativo deteriorato.

Tale intervento è stato quindi considerato conforme all’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro imposto dall’art. 2087 del Codice Civile.

In relazione alla lamentata perdita della possibilità di usufruire di una doppia sede operativa, con particolare riferimento a quella più vicina al domicilio della madre, il Giudice ha riconosciuto che, a seguito della riassegnazione, la lavoratrice aveva avuto accesso a postazioni presso hub aziendali prenotabili, anche se con modalità differenti rispetto alla precedente disponibilità.

Tuttavia, tale circostanza è stata ritenuta un mero cambiamento organizzativo, non idoneo a costituire un atto discriminatorio o lesivo dei suoi diritti.

Infine, con riguardo all'asserito demansionamento, è stato rilevato che al momento della proposizione del ricorso la lavoratrice si trovava in malattia e non aveva ancora iniziato a svolgere le nuove mansioni.

Le stesse, così come descritte dall’azienda in atti, erano coerenti con l’inquadramento professionale posseduto, articolate su contenuti tecnici e di rilievo, in ambito di analisi dei rischi finanziari e reportistica specialistica.

L’eventuale necessità di un periodo di formazione iniziale, prospettata nei colloqui interni, era una normale fase di affiancamento, non costituente elemento di dequalificazione.

Le conclusioni del Tribunale di Milano  

Il Tribunale, in definitiva, ha concluso che non sussistevano gli elementi necessari per accogliere le domande avanzate dalla ricorrente di annullamento del provvedimento, risarcimento dei danni e pubblicazione dell’eventuale ordinanza favorevole.

La scelta aziendale era giustificata, ragionevole e conforme al quadro normativo vigente, in particolare sotto il profilo della legittima riorganizzazione interna e dell’obbligo di tutela della salute del lavoratore.

Andava altresì escluso qualsiasi intento discriminatorio o ritorsivo da parte dell’azienda, posto che il provvedimento era stato assunto per ragioni oggettive e documentate.

In virtù dell’integrale rigetto del ricorso, il Giudice ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte convenuta, liquidandole in euro 6.000, oltre accessori di legge.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del caso Questione dibattuta Soluzione del Tribunale
Una lavoratrice invalida civile, assunta tramite collocamento obbligatorio e assistente familiare ai sensi della L. 104/1992, ha contestato il trasferimento disposto dal datore di lavoro verso una nuova sede all'interno della stessa città. La dipendente sosteneva che il provvedimento fosse ritorsivo, discriminatorio e demansionante, in quanto successivo a una precedente causa per mobbing e straining da lei promossa. Se il trasferimento in altra sede, deciso dal datore di lavoro a seguito di gravi attriti ambientali e contenzioso in corso con la dipendente, potesse considerarsi illegittimo per violazione della L. 104/1992, per natura ritorsiva o per comportare un demansionamento. Il Tribunale di Milano ha ritenuto legittimo il trasferimento, configurandolo come una misura organizzativa necessaria e proporzionata. Non si trattava di un vero trasferimento ma di una riorganizzazione interna nella stessa area lavorativa. È stata esclusa ogni discriminazione o ritorsione, così come la sussistenza di un demansionamento. Il ricorso è stato integralmente respinto.
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