Transfer price. Le rettifiche di antieconomicità richiedono valutazioni concrete e non ragionamenti presuntivi

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La Ctr Piemonte, con la sentenza n. 61/05/12, ha sciolto una controversia avente ad oggetto la congruità dei prezzi di trasferimento applicati da una società italiana alla sua controllata estera. La controllata si era procurata la merce da un fornitore non appartenente al gruppo, per poi rivenderla alla casa madre con un prezzo di ricarico considerato irrisorio dall’Amministrazione finanziaria, così da far scattare un avviso di accertamento per antieconomicità dell’attività imprenditoriale messa in atto dalla contribuente.

Il Fisco ha, infatti, constatato che il ricarico applicato risultava per definizione inidoneo a coprire i costi fissi e le spese di gestione e allo stesso tempo non era in grado di remunerare i fattori produttivi.

La società ha impugnato l’avviso di accertamento motivando la sua decisione di acquistare le materie prime da un fornitore straniero e di rivenderle ad un prezzo esiguo alla casa madre come un’operazione estranea alla propria attività ordinaria e, dunque, di natura puramente contingente. La ricorrente, inoltre, ha anche fatto presente ai giudici che l’operazione rimane nella sfera dell’economicità se si tiene conto del fatto che essa non ha richiesto il sostenimento di costi aggiuntivi di trasporto, di magazzinaggio e ulteriori oneri finanziari.

L’Amministrazione finanziaria è risultata soccombente in entrambi i gradi di giudizio. Nello specifico, i giudici di appello hanno sottolineato come le rettifiche sui prezzi di trasferimento non possono essere effettuate su ragionamenti puramente presuntivi. Per poter fare dei rilievi è necessario considerare lo svolgimento dell’operazione commerciale, comparando il margine ottenuto con quello ricavabile da operazioni simili. Nell’avviso di accertamento spiccato dall’Ufficio, invece, l’antieconomicità dell’operazione commerciale veniva sostenuta solo basandosi sull’ammontare della percentuale di ricarico applicata dalla ricorrente. Di fatto, cioè si trattava di una valutazione eseguita esclusivamente a tavolino, senza tenere affatto in considerazione le modalità con cui si è svolta concretamente l’operazione; ma, ancora di più, senza effettuare alcuna comparazione tra il margine, considerato esiguo dal Fisco, e quello reale riscontrabile sul mercato per operazioni similari.
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