Somministrazione irregolare: indennità sostitutiva tassata

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Somministrazione irregolare: indennità sostitutiva tassata

L’Agenzia delle Entrate si è occupata della tassazione da applicare all'indennità risarcitoria dovuta dal datore di lavoro a seguito di una sentenza di condanna accertativa dell’uso irregolare del contratto di somministrazione.

Vediamo come è sorta la questione che ha portato a fornire, il 6 giugno 2024, la risposta n. 130.

Condanna per somministrazione irregolare

Una lavoratrice ha chiesto al giudice di accertare e dichiarare l'illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro, e relative proroghe, per superamento del limite quantitativo di cui all'art. 31, comma 2, D.Lgs. n. 81/2015.

Il giudice ha emesso la sentenza di condanna verso la società a partecipazione pubblica totalitaria, che ha acquisito i rapporti giuridici in capo ad una incorporata (a seguito di operazione straordinaria di fusione per incorporazione). Detta incorporata, nel corso degli anni, ha fatto ricorso a contratti di somministrazione di lavoro.

Apriamo una piccola parentesi per ricordare che la somministrazione di lavoro prevede il coinvolgimento di tre soggetti:

  • il somministratore, ossia l’Agenzia autorizzata iscritta in un apposito albo informatico;
  • il soggetto utilizzatore, che si avvale dei servizi del somministratore per reperire personale;
  • il lavoratore somministrato o in somministrazione, assunto dal somministratore e da questi inviato presso l'utilizzatore.

In tale tipologia vi sono due distinti rapporti contrattuali:

  • quello tra somministratore e utilizzatore, che ha natura commerciale e può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato;
  • quello tra somministratore e lavoratore somministrato, che può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato.

Tornando alla questione prospettata all’Agenzia delle Entrate, con la sentenza la società è stata condannata al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva, a favore della lavoratrice, nella misura di 2,5 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

In aggiunta, il giudice ha dichiarato che la società a partecipazione pubblica non sia equiparabile agli enti pubblici; pertanto, non sono applicabili le disposizioni previste dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai rapporti di lavoro instaurati, escluso l’obbligo delle procedure concorsuali.

In sintesi, la società condannata chiede quale sia il corretto trattamento fiscale applicabile alla somma oggetto di indennità risarcitoria.

Tassazione delle indennità risarcitorie

L’Agenzia delle Entrate nella risposta n. 130 del 6 giugno 2024, inizia dal rappresentare come nel Tuir - articolo 51, comma 1, DPR n. 917/1986 – sia presente il noto principio di onnicomprensività: questo prevede che il reddito di lavoro dipendente sia costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.

Quanto alla tassazione, è disposto che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

Più precisamente, si parla di:

- lucro cessante, quando l’indennizzo va a compensare in via integrativa o sostitutiva la mancata percezione di redditi di lavoro o il mancato guadagno. La somma va considerata nel reddito complessivo del soggetto percipiente e assoggettata a tassazione;

- danno emergente, se il risarcimento ha la finalità di indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite o di risarcire la perdita economica subita dal patrimonio. In tal caso è esclusa la tassazione essendo assente il presupposto impositivo (manca la funzione sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi).

In tema, la Cassazione ha più volte sostenuto come l’interessato debba provare concretamente l'esistenza e l'ammontare di tale danno; in assenza di tale prova, la somma versata dal datore di lavoro avrà, in via presuntiva, la natura di ristoro e, quindi, ricadrà sotto l’ambito del lucro cessante.

Qualora venga chiesta la costituzione del rapporto di lavoro con l'utilizzatore, trova applicazione l'articolo 6, legge n. 604/1966. Se viene accolta la domanda, il giudice condanna al pagamento dell'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

La funzione di tale indennità è di ristorare per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, nel periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l'utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro.

Nel caso studiato, l’indennità risarcitoria va qualificata come risarcimento del danno consistente nella perdita di redditi di lavoro dipendente: va, quindi, a sostituire il reddito non conseguito e deve essere soggetta a tassazione.

Quale tassazione?

Trattandosi di emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti e percepiti in conseguenza di sentenze, sulle somme va applicata la tassazione separata.

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