Sezioni Unite: libertà sindacale limitata? Risarcimento

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Sezioni Unite: libertà sindacale limitata? Risarcimento

Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno respinto il ricorso promosso da una compagnia aerea irlandese che, in sede di merito, era stata condannata per condotta antisindacale.

La causa era stata promossa da un sindacato ed era finalizzata all’accertamento del carattere discriminatorio di una clausola inserita nel contratto di lavoro del personale di cabina degli aeromobili, impiegato dalla società in tema di estinzione del contratto.

Discriminatoria la clausola che impedisce azioni sindacali o collettive 

Detta clausola era volta a impedire al predetto personale di effettuare interruzioni di lavoro o qualunque altra azione sindacale, a escludere che la datrice di lavoro e le società di mediazione contrattassero e riconoscessero qualunque sindacato dello stesso personale, a impedire azioni collettive di qualsiasi tipo, pena l’annullamento e l’inefficacia del contratto e la perdita di qualunque incremento retributivo o indennitario o di cambio turno.

L’attrice aveva dedotto che fosse discriminatoria anche la condotta e la prassi aziendale della compagnia di escludere qualsiasi rapporto con le organizzazioni sindacali inibendo allo stesso personale l’affiliazione collettiva e rivendicazioni collettive.

La società, inoltre, non aveva rapporti con le organizzazioni sindacali italiane né con quelle degli altri Stati dell’Ue e l’amministratore della stessa aveva pubblicamente avallato tale prassi aziendale.

Il Tribunale, in primo grado, aveva accolto la domanda del sindacato e dichiarato il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dalla società in relazione alla clausola in oggetto e alle condotte contestate, condannando la convenuta al risarcimento dei danni in favore della parte istante, liquidato in via equitativa.

Decisione, questa, confermata anche dalla Corte d’appello, la quale aveva anche disatteso le doglianze prospettate dalla compagnia aerea con riferimento alla asserita carenza di giurisdizione del giudice italiano, alla improcedibilità e inammissibilità dell’azione del sindacato e all’applicabilità della legge irlandese alla fattispecie de quo.

La compagnia aerea si era quindi rivolta alla Suprema corte, davanti alla quale aveva riproposto i motivi appena citati.

Giurisdizione del giudice italiano, legittimazione ad agire del sindacato

Le Sezioni Unite civili, con sentenza n. 20819 del 21 luglio 2021, hanno rigettato il relativo ricorso, confermando, in primo luogo, la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano: la domanda promossa dal sindacato, come ritenuto dalla Corte territoriale, aveva natura extracontrattuale, non essendo peraltro ravvisabile, tra le parti in causa, alcun contratto di lavoro.

Atteso, quindi, che si verteva in un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, trovava applicazione l’art. 7, par. 2 del Regolamento Ue n. 1215/2012 secondo cui “una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in altro Stato membro…”.

A seguire, gli Ermellini hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità dell’azione promossa dal sindacato, dopo aver ricordato, come anche in sede europea, la libertà sindacale sia oggetto di promozione e riconoscimento.

Secondo la Corte, il sindacato, in ragione delle ricadute della clausola censurata e delle condotte tenute dalla compagnia, aveva agito legittimamente iure proprio e a titolo extracontrattuale.

Sulla condotta discriminatoria del datore di lavoro

Per quel che concerne, infine, la doglianza con cui la società aveva censurato il carattere discriminatorio delle condotte poste in essere, le SS. UU. hanno ritenuto che i giudici di merito, alla luce dell’accertamento svolto, avessero correttamente applicato i principi enunciati in materia dalla CGUE e dalla giurisprudenza di Cassazione.

Non vi erano dubbi che la politica di gestione del rapporto di lavoro da parte della società datrice di lavoro, per quel che riguardava l’attività sindacale, fosse discriminatoria sia sul fronte dell’accesso al lavoro, sia sul fronte del trattamento deteriore rispetto ai colleghi, in corso di rapporto di lavoro.

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