Se il contratto intermittente è simulato, non si applica la sanzione per omessa comunicazione della chiamata
Pubblicato il 19 ottobre 2012
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Nel mese di agosto 2012 Gamma S.r.l. assume per la prima volta Tizio tramite contratto intermittente a tempo determinato, senza obbligo di disponibilità. L’occupazione mediante tale contratto, concluso in forma scritta, viene giustificato da Gamma S.r.l. con l’obiettivo di conseguire un risparmio sui costi del lavoro, avendo chiarito espressamente al dipendente che la prestazione richiesta si sarebbe dovuta svolgere senza soluzione di continuità. Le chiamate di Tizio vengono comunicate da Gamma S.r.l. alla DTL in via discontinua, facendo così figurare nella documentazione di lavoro un impiego saltuario del lavoratore. Nei fatti e in conformità agli accordi intercorsi la prestazione è stata resa in maniera continuativa per otto giornaliere e per cinque giorni alla settimana. Nel mese di ottobre 2012 gli ispettori della DTL effettuano un accesso presso i locali di Gamma S.r.l. e constatano dalla documentazione di lavoro che Tizio è stato occupato con modalità formalmente corrispondenti al contratto concluso. Tuttavia nei fatti accertano che la prestazione di Tizio è stata svolta senza soluzione di continuità e pertanto anche per le giornate di lavoro in cui è stata omessa la comunicazione di chiamata alla DTL. A fronte di tale discrasia gli ispettori applicano per ciascuna giornata di lavoro non comunicata il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla L. n. 92/12 (c.d. riforma Fornero).
È corretto l’operato degli ispettori?
Premessa
Nel caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro” del 12 ottobre 2012, “Il primo contratto a termine non rientra nei limiti di contingentamento”, sono state formulate alcune riflessioni sul contratto a termine sostanzialmente rivisitato dalla L. n. 92/12 (c.d. riforma Fornero). Nell’occasione è stata prospettata una soluzione ermeneutica che esclude, in assenza di chiare e univoche disposizioni di fonte collettive, il contratto di cui all’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368/2001 dai limiti di contingentamento eventualmente previsti dall’autonomia collettiva, esercitata in applicazione dell’art. 10 comma 7 del D.lgs. n. 368 cit.
Nel proseguire la disamina in ordine alle novità apportate dalla L. n. 92 cit., viene in risalto il contratto intermittente, disciplinato dagli artt. 33-40 D.lgs. n. 276/2003. In base a tale contratto la prestazione, di natura subordinata, viene svolta dal lavoratore in base alle necessità del datore di lavoro. In sostanza, il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione mediante preventiva chiamata. Da siffatta caratteristica discende la definizione utilizzata in gergo di contratto c.d. a chiamata.
Valga la considerazione preliminare che tale contratto ha subito nel corso degli anni molteplici interventi, tant’è che è stato persino espunto dall’ordinamento per effetto dell’art.1 comma 45 della L. 247/07 che ha invero abrogato gli artt. da 33 a 40 del D.lgs. n. 276 cit.. Ebbene l’art 39 comma 10 lett. m) del D.L. 112/08 ha ripristinato la disciplina del contratto intermittente, con la conseguenza che dall’1 gennaio del 2008 al 24 giugno 2008, non è stato possibile stipulare il contratto de quo.
L'art. 1, commi 21 e 22, della L. n. 92 cit. torna nuovamente sul contratto intermittente con un disciplina restrittiva avente il dichiarato obiettivo di garantire maggiori tutele al rapporto di lavoro e di combattere quell’estrema flessibilizzazione che ha generato un’applicazione dell’istituto foriera spesso di fenomeni elusivi.
Il tempo dirà se la riforma sortirà l’effetto sperato, per il momento ci limiteremo a evidenziare in maniera sintetica le principali novità apportate all’istituto de quo, concentrando l’attenzione sulle conseguenze scaturenti dall’utilizzo simulato o fraudolento del contratto.
La disciplina del contratto intermittente
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Gli aspetti rimasti invariati
Anzitutto va premesso che sono rimasti invariati l’oggetto della prestazione e le tipologie contrattuali. E infatti il contratto intermittente, che deve essere concluso in forma scritta ai fini della prova, può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. In caso di contratto di lavoro intermittente a tempo determinato non trova applicazione la disciplina di cui al D.lgs. n. 368/2001, né conseguentemente è applicabile la disciplina di cui all’art. 5, comma 3, del D.lgs. n. 368/2001. In ogni caso per entrambe le tipologie contrattuali può essere o meno pattuito l’obbligo di disponibilità del lavoratore, con la puntualizzazione che solo nella prima ipotesi il lavoratore ha diritto all’indennità di disponibilità. Invece laddove non sia stato pattuito l’obbligo di disponibilità il prestatore non s’impegna contrattualmente ad accettare la chiamata del datore di lavoro, e dunque non matura il diritto all'indennità, bensì solo la retribuzione per il lavoro eventualmente prestato. Immutati restano anche i divieti previsti per la conclusione del contratto.
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Le novità apportate dalla c. d. riforma Fornero
La riforma è intervenuta invece sui presupposti soggettivi e oggettivi che ne legittimano la stipulazione.
Sotto l’aspetto soggettivo il contratto intermittente può esse concluso solo da soggetti che:
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non abbiano compiuto i 24 anni di età. Nell’eventualità che la prestazione prosegua al compimento del venticinquesimo anno di età, il contratto, ancorché concluso precedentemente, è sottoposto alla disciplina della nullità parziale ex art. 1418 II comma c.c., con la conseguenza che lo stesso si converte in contratto subordinato, a tempo pieno e indeterminato;
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abbiano compiuto i 55 anni di età anche pensionati.
Per quanto riguarda invece i requisiti oggettivi, a seguito dell’abrogazione dell’art. 37 del D.lgs. n. 276 cit., le esigenze che legittimano la stipulazione del contratto intermittente, con riferimento a periodi predeterminati nell’arco della settimana del mese o dell’anno, sono rimesse alle determinazioni dei “contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale”. Nelle more dell’esercizio dell’autonomia collettiva è possibile ricorrere al contratto intermittente nei casi richiamati dal D.M. 23 ottobre 2004 che rinvia al R.D. n. 2657/1923.
Pertanto e riassumendo, nell’attesa che i CCNL dispongano in materia, è possibile ricorrere all’assunzione mediante contratto intermittente in due ipotesi alternative tra loro e segnatamente:
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in qualsivoglia settore lavoristico per coloro che siano in possesso dei requisiti soggettivi d’età;
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per le attività elencate dal R.D. n. 2657 cit., indipendentemente dai requisiti soggettivi d’età.
Violazione della normativa: sanzioni per omessa comunicazione o riqualificazione del contratto?
In ordine alle conseguenze sanzionatorie per la violazione della normativa sopra descritta va premesso che il datore di lavoro intermittente è tenuto a effettuare una comunicazione alla DTL della “chiamata” prima dell’inizio della prestazione. È stata prevista la possibilità di inoltrare un’unica comunicazione preventiva per “un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a trenta giorni” considerati dal Ministero del Lavoro come “[…] giorni di chiamata di ciascun lavoratore e non come arco temporale massimo all’interno del quale individuare i periodo di attività dello stesso”. Per quanto riguarda le modalità di adempimento all’obbligo di comunicazione sono state previste delle forme semplificate, la cui disciplina di dettaglio è stata chiarita dal Ministero del Lavoro con circolari n. 18 e 20 del 2012 e da ultimo con nota del 9 agosto 2012, alle quali si rinvia per ogni ulteriore chiarimento.
Ciò che va sottolineato è che la violazione dell’obbligo di comunicazione non incide sul rapporto di lavoro, nel senso che non comporta una riqualificazione dello stesso in forma diversa rispetto allo schema utilizzato dalle parti negoziali, ma è punita solo con sanzione amministrativa, applicabile per ciascuna comunicazione omessa e senza adozione della procedura di diffida ex art. 13 del D.lgs. n. 124/04.
A giudizio degli scriventi tale osservazione è valida sempre che la violazione dell’obbligo di comunicazione non sottenda un diverso intento delle parti volto a mascherare un distinto rapporto di lavoro.
In altri termini, se il contratto intermittente è stato formalmente concluso dalle parti per conseguire, mediante la dissimulazione di un diverso rapporto di lavoro, indebiti “risparmi” retributivi, previdenziali e fiscali, pare evidente che non possa trovare applicazione la sanzione amministrativa individuata dall’ art. 21, lett. b) della L. n. 92 cit., essendo quest’ultima prevista solo per mancata comunicazione della chiamata in relazione a contratti intermittenti instaurati in maniera genuina. A fronte di un uso non veritiero del contratto si ritiene più corretto far valere la simulazione e procedere alla riqualificazione del rapporto in senso conforme alle concrete modalità di esecuzione della prestazione, applicando le sanzioni amministrative consequenziali.
Il carattere discontinuo della prestazione
Seguendo tale prospettiva, un valido criterio per accertare la genuinità del contratto intermittente, oltre alla comune volontà delle parti, può trarsi dall’art. 34 del D.lgs. n. 276 cit., secondo il quale la prestazione che tipizza tale schema negoziale deve svolgersi con “carattere discontinuo o saltuario, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno”. La circostanza che la prestazione debba essere svolta in maniera “intermittente” è stata rimarcata, non solo dai molteplici interpelli emanati dal Ministero del Lavoro, ma anche dall’art. 1 comma 21 della L. n. 92 cit. per cui “il contratto può riferirsi a periodi di durata significativa ma la prestazione deve essere intervallata da una o più interruzioni”. Ciò significa che la prestazione, che venga resa sulla base di un contratto intermittente a tempo determinato o indeterminato, deve essere contrassegnata dalla contingenza e dalla incostanza della prestazione e non può pertanto svolgersi senza soluzione di continuità, né può coincidere con la durata temporale e/o oraria di un'ordinaria settimana di lavoro, né ricalcare tendenzialmente tale tipologia rapporto, né infine ripetersi sistematicamente in predeterminati orari e giorni di lavoro, come se si trattasse di un contratto part-time verticale o misto.
Secondo gli scriventi, laddove venisse a mancare il requisito della discontinuità e si accertasse invece il carattere sistematico e generalizzato della prestazione, invero eseguita con l’intento di mascherare lo schema classico del rapporto di lavoro, occorrerebbe procedere alla riqualificazione del rapporto non prima tuttavia di aver effettuato un’ulteriore verifica avente a oggetto l’arco di durata temporale del contratto formalmente concluso dalle parti.
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Contratto intermittente concluso a tempo indeterminato
Infatti ove quest’ultimo sia a tempo indeterminato, nulla quaestio, nel senso che il contratto intermittente viene convertito in un ordinario contratto a tempo indeterminato in relazione all’orario pattuito ed effettivamente svolto dalle parti.
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Contratto intermittente concluso a tempo determinato
Diversamente, ove il contratto concluso per iscritto sia a termine, attesa la simulazione dello schema negoziale, non opera la preclusione per l’applicazione del D.lgs. n. 368/01 succ mod. e integr., il quale invece, per il principio di conservazione del contratto, viene a disciplinare proprio la prestazione effettuata in concreto dal lavoratore. A tale riguardo occorre però distinguere a seconda che i lavoratori abbiano o meno intrattenuto, con la stessa impresa, precedenti rapporti di lavoro.
In sostanza, se il contratto simulato costituisce fonte del “primo rapporto a termine” tra le parti e il termine risulta da atto scritto, trova applicazione la regola dell'acausalità così come disciplinata dall’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368 cit. e il rapporto si converte in un rapporto a tempo determinato valevole per il lasso di tempo pattuito dalle parti.
Invece, ove le parti abbiano intrattenuto altri e precedenti rapporti di lavoro a tempo determinato, non si applica l’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368 cit., bensì la regola della causalità prevista dall’art. 1 comma 1 D.lgs. n. 368 cit. Sennonché, considerato che la motivazione verosimilmente non risulterà inserita nel contratto, non potrà che trovare applicazione la regola della nullità parziale di cui all’art. 1418 c.c., con la conseguente conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato.
Alla luce di tali criteri si può ora passare a esaminare il caso concreto.
Il caso concreto
In punto di fatto si rileva che nel mese di agosto 2012 Gamma S.r.l. ha assunto Tizio per la prima volta con contratto intermittente a tempo determinato, senza obbligo di disponibilità. L’occupazione mediante tale contratto, concluso in forma scritta, è stata giustificato da Gamma S.r.l. con l’obiettivo di conseguire un risparmio sui costi del lavoro, avendo chiarito espressamente al dipendente che la prestazione richiesta si sarebbe dovuta svolgere senza soluzione di continuità. Le chiamate di Tizio sono state comunicate da Gamma S.r.l. alla DTL in via discontinua e registrate nella documentazione di lavoro. Nei fatti e in conformità agli accordi intercorsi la prestazione è stata resa in maniera continuativa per otto ore giornaliere e per cinque giorni alla settimana. Nel mese di ottobre 2012 gli ispettori della DTL hanno effettuato un accesso presso i locali di Gamma S.r.l. e nell’occasione hanno constatato che la prestazione di Tizio è stata registrata nella documentazione di lavoro in maniera discontinua e corrispondente alle comunicazioni di chiamata inoltrate alla DTL. Tuttavia dagli atti istruttori acquisiti e dalle dichiarazioni raccolte è emerso che la prestazione di Tizio è stata svolta senza soluzione di continuità e pertanto anche nelle giornate di lavoro non registrate a Libro Unico e non preventivamente comunicate alla DTL. Quest’ultima circostanza è stata assunta dagli ispettori per applicare i provvedimenti sanzionatori stabiliti dalla L. n. 92/12 (c.d. riforma Fornero) parametrati in relazione a ciascuna giornata di lavoro di Tizio per la quale è stata omessa la comunicazione di chiamata.
Ma tali provvedimenti sanzionatori, a giudizio degli scriventi, non appaiono legittimi, non tanto perché applicati per ciascuna comunicazione omessa (anziché una tantum), quanto perché la sanzione di cui all’art. 21, lett. b) della L. n. 92 presuppone comunque che il contratto intermittente sia stato concluso ed eseguito dalle parti in maniera genuina e cioè in conformità allo schema disciplinato dagli artt. 33 e ss. del D.lgs. n. 276 cit.. Secondo la disciplina in questione la prestazione del dipendente deve essere contrassegnata dalla discontinuità e non, come nel caso di specie, da una continuità temporale, peraltro coincidente con il ciclo orario quantitativo tipico di un ordinario rapporto di lavoro full-time. Invero il contratto intermittente concluso da Gamma S.r.l. con Tizio dissimula un tipico contratto a tempo determinato full-time e trattandosi del primo rapporto a termine tra le parti concluso altresì in forma scritta gli ispettori, lungi dall’applicare le sanzioni di cui all’art. 21 lett. b) della L. n, 92 cit., avrebbero dovuto attribuire rilevanza alle modalità fattuali di svolgimento della prestazione, accertare pertanto la simulazione del contratto e conseguentemente procedere a riqualificare il rapporto di lavoro secondo il modello disciplinato dall’art. 1 comma 1 bis del D.lgs. n. 368 cit.
NOTE
i Forma del contratto e contenuti della comunicazione sono descritti dall’art. 35 del D.lgs. n. 276 cit..
iii In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può comportare la risoluzione del contratto.
iv L'indennità di disponibilità rappresenta un reddito imponibile, sia fini contributivi sia ai fini fiscali. Cfr. circolare INAIL n. 22 del 2006. Per quanto riguarda l'aspetto contributivo, l'indennità è soggetta alla contribuzione obbligatoria sia ai fini IVS che ai fini delle prestazioni di malattia e maternità, senza l'obbligo di osservare i minimi contributivi previsti dalle disposizioni vigenti. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. La misura di detta indennità è stabilita dai contratti collettivi e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 10/03/2004, è stato stabilito che nel contratto di lavoro intermittente la misura dell'indennità di disponibilità è pari al 20% della retribuzione prevista dal CCNL applicato.
v Cfr. Circolare INPS n. 17/2006.
vi Non è possibile stipulare il contratto intermittente nelle seguenti ipotesi:
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sostituzione dei lavoratori in sciopero;
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imprese che nei sei mesi precedenti abbiano operato licenziamenti collettivi, ovvero sia in corso una sospensione o riduzione di orario di lavoro per cassa integrazione di lavoratori adibiti a mansioni per le quali si effettua la chiamata;
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imprese che non hanno predisposto il documento di valutazione dei rischi.
vii Il contratto intermittente può essere stipulato entro i 23 anni e 364 giorni, ma il rapporto deve necessariamente terminare entro i 24 anni e 364 giorni.
viii Cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 18 del 2012. L’ art. 1, c. 22 della L. n. 92 cit. ha previsto infatti che i contratti già stipulati e non più consentiti dalla nuova legge si risolvono automaticamente dopo dodici mesi dall’entrata in vigore della nuova legge.
ix Per gli over 55 non esiste alcun limite di durata. Secondo la pregressa disciplina il contratto era stipulabile da soggetti che avevano compiuto 45 anni di età.
x L’art. 1, c. 21, lett. a) e lett. c), della L. n. 92 cit. ha abrogato l’art. 37 D.lgs. n. 276/2003, sicché è stata integralmente soppressa l’ammissione per legge del lavoro intermittente nel fine settimana, nei periodi di ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali.
xi Al riguardo il Ministero del Lavoro è intervenuto nel corso degli anni mediante risposte a interpelli onde contestualizzare con operazioni ermeneutiche (spesso estensive) il significato delle attività descritte nel R.D. Cfr. risposta a interpello prot. n. 25/I/0001566 del 13 luglio 2006; risposta a interpello prot. n. 25/I/0003252 del 7 settembre 2006; risposta a interpello n. 38 del 2011; risposta a interpello n. 46 del 2011 e da ultimo risposta a interpello n. 28 del 2012.
xii Cfr. Ministero del Lavoro circolare n. 20 del 2012.
xiii La norma infatti utilizza il singolare riferendosi a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione.
xiv Cfr. Ministero del lavoro risposta a interpello n. 47 del 2011 e risposta a interpello n. 3 del 2012.
xv Cfr. interpelli sopra citati e che insistono sempre sul carattere discontinuo della prestazione.
xvi Il Ministero del Lavoro con circolare n. 20 del 2012 asserisce che non vi può essere coincidenza tra durata del contratto e durata della prestazione. Il significato semantico dell’espressione adoperata potrebbe indurre a equivoci, sicché vale la pena chiarire che la non coincidenza postula che la prestazione di lavoro debba comunque svolgersi all’interno del tempo di durata del rapporto (pena l’eventuale lavoro in nero), ma in maniera frazionata e discontinua.
xvii Per un esame dettagliato cfr. il caso pratico de “L'Ispezione del Lavoro” del 12 ottobre 2012, “Il primo contratto a termine non rientra nei limiti di contingentamento”.
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