Salario minimo, il giudice di merito si allinea alla Cassazione
Pubblicato il 18 ottobre 2023
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Dibattito sempre acceso sul salario minimo legale. Dopo le proposte del CNEL e il rinvio in Commissione della proposta di legge che ne prevede l'istituzione, i giudici, stavolta di merito, tornano sul tema.
Depositata infatti una nuova pronuncia in tema di salario minimo legale, affermativa dell’inadeguatezza delle previsioni sulle retribuzioni minime del CCNL Vigilanza Privata - Servizi Fiduciari rispetto ai parametri costituzionali dettati dall’art. 36, con conseguente disapplicazione, da parte del giudice del lavoro, del contratto collettivo in esame.
Richiamato, nella decisione, il consolidato orientamento giurisprudenziale - anche da ultimo ribadito dalla Cassazione con sentenza n. 27711/2023 - secondo cui, nell’attuazione dell’art. 36 della Cost. il giudice deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può motivatamente discostarsi ove la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Retribuzione inadeguata? CCNL da disapplicare
Con sentenza n. 2720 del 13 ottobre 2023, il Tribunale del lavoro di Bari ha accolto il ricorso promosso da un lavoratore al fine di veder accertare il proprio diritto all'adeguamento delle retribuzioni versategli dalla società datrice di lavoro applicando le disposizioni del CCNL Imprese di Vigilanza Privata e Servizi Fiduciari.
Disposizioni, queste, di cui il ricorrente chiedeva che fosse accertata l'illegittimità per contrarietà a quanto disposto dall’art. 36 Cost.
Il dipendente, che aveva svolto mansioni di addetto all’attività di custodia e sorveglianza, lamentava l'inadeguatezza della retribuzione percepita, in quanto non proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto né sufficiente ad assicurargli un’esistenza libera e dignitosa.
La retribuzione in parola, peraltro, risultava inadeguata anche in rapporto agli indici di povertà assoluta pubblicati dall'Istat.
Doglianze, queste, ritenute fondate dal Tribunale di Bari, secondo cui la retribuzione corrisposta al ricorrente nel corso del rapporto di lavoro era incompatibile con il precetto dettato dall'articolo 36 Costituzione, secondo cui “ il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.
Salario minimo costituzionale: proporzionato e sufficiente
Tale principio - ha ribadito il Giudice del lavoro - costituisce un fondamentale punto di riferimento non solo per il legislatore, ma anche per la contrattazione collettiva ed un indubbio limite alla facoltà di determinazione del trattamento retributivo da parte di quest'ultima.
La proporzionalità e la sufficienza a cui fa riferimento la norma costituzionale, difatti, sono concetti autonomi e ben distinti dalla volontà delle parti sociali che si esprime nella contrattazione collettiva.
La verifica del loro rispetto nel caso concreto, pertanto, non può esaurirsi nell'accertamento del contenuto di tale volontà, essendo possibile e doveroso, in ragione dell'indubbia preminenza della Costituzione, mettere in discussione anche la contrattazione medesima, così come accade anche per le scelte del legislatore ordinario.
Retribuzione da CCNL Servizi fiduciari inadeguata
Nella specie, la verifica della retribuzione erogata al ricorrente - in base alle previsioni di cui agli artt. 23 e 24 CCNL Vigilanza Privata - sezione Servizi Fiduciari - portava a concludere per la relativa inadeguatezza.
Spettava, quindi, al giudice di merito provvedere alla determinazione di un trattamento retributivo rispettoso del parametro costituzionale dell’art. 36 Cost., considerando i contratti collettivi usualmente applicati per disciplinare mansioni identiche a quelle espletate.
E, nella specie, il Tribunale ha optato per il CCNL per i dipendenti da Proprietari di Fabbricati.
L'organo giudicante, in definitiva, accertato il diritto del ricorrente a percepire, in relazione al rapporto di lavoro in essere, un trattamento retributivo corrispondente a quello di un lavoratore inquadrato nel livello D1 del CCNL da ultimo richiamato, ha condannato la società datrice di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive, oltre interessi e rivalutazione dalla maturazione al saldo.
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