Ritorsivo il licenziamento irrogato per aver testimoniato in favore di collega
Pubblicato il 08 aprile 2025
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Cassazione: nullo il licenziamento ritorsivo per testimonianza sgradita
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 8857 pubblicata il 3 aprile 2025, ha confermato la nullità di un licenziamento per giusta causa, riconoscendo il carattere ritorsivo del provvedimento adottato dal datore di lavoro nei confronti del proprio ex dipendente.
Il caso esaminato
La vicenda trae origine da una lunga controversia giudiziaria tra il lavoratore e l’azienda, nella quale era già stata riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro e l’illegittimità del primo recesso contrattuale.
La contestazione disciplinare
In seguito a una testimonianza resa dal lavoratore nell’ambito di un giudizio analogo promosso da altro collega, il datore di lavoro aveva avviato un procedimento disciplinare, culminato in un licenziamento per giusta causa. L’addebito mosso al dipendente era quello di aver reso dichiarazioni false in sede testimoniale, contrastanti con la posizione difensiva dell’azienda.
Tuttavia, né il giudice davanti al quale era stata resa la deposizione aveva trasmesso notizia di reato all’autorità giudiziaria, né la società aveva sporto denuncia penale per falsa testimonianza.
Le decisioni di merito
Il Tribunale prima, e successivamente la Corte d’Appello, avevano ritenuto che il licenziamento fosse illegittimamente motivato, in quanto conseguente alla testimonianza resa dal lavoratore e non a una reale giusta causa.
In particolare, i giudici di merito avevano evidenziato:
- la stretta connessione temporale tra il contenuto della testimonianza e il licenziamento;
- l'assenza di un accertamento giudiziale della falsità della deposizione;
- la mancanza di iniziative penali da parte del datore di lavoro.
Di conseguenza, era stata accertata la natura ritorsiva del licenziamento, con applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).
Il ricorso in Cassazione
La società aveva impugnato la decisione in Cassazione, sollevando tre motivi:
- violazione delle norme in materia di licenziamento per motivo illecito;
- nullità della sentenza per motivazione apparente;
- erronea determinazione della retribuzione di riferimento per il calcolo dell’indennità risarcitoria.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo privi di fondamento tutti i motivi dedotti dalla società.
Ha rilevato, in particolare, che il carattere ritorsivo del licenziamento era stato correttamente accertato sulla base delle circostanze concrete del caso.
Inoltre, ha ritenuto che il ragionamento esposto nella sentenza impugnata rispettasse pienamente i principi giurisprudenziali in materia, risultando chiaro e coerente.
Con riferimento alla determinazione dell’indennità risarcitoria, la Corte ha confermato che la retribuzione da assumere a parametro era quella effettivamente percepita dal lavoratore, escludendo la possibilità di fare riferimento a valori astratti o ipotetici previsti dal contratto collettivo, in linea con quanto già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare con l’ordinanza n. 33344 del 2022.
Rilievi conclusivi
La pronuncia si inserisce nel solco della giurisprudenza di legittimità che tutela i lavoratori da licenziamenti discriminatori o ritorsivi, riaffermando la necessità di un fondamento oggettivo nella giusta causa addotta dal datore di lavoro.
Inoltre, ribadisce il principio secondo cui, per la determinazione dell’indennità risarcitoria in caso di nullità del licenziamento, occorre far riferimento alla retribuzione globale di fatto, rappresentata dalla media dei compensi percepiti, indipendentemente dalla qualifica successivamente riconosciuta.
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