Residenza fiscale per soggetti Ires e persone fisiche. Chiarimenti delle Entrate
Pubblicato il 05 novembre 2024
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L’Agenzia delle Entrate ha emesso la circolare applicativa n. 20 del 4 novembre 2024 sulle disposizioni introdotte dal Decreto sulla Fiscalità Internazionale, il n. 209/2023. Nello specifico, sono stati introdotti nuovi criteri di determinazione della residenza fiscale per persone fisiche, società e enti, a partire dal 2024.
Ecco una sintesi dei contenuti del documento di prassi.
Persone fisiche. Una persona è considerata residente fiscalmente in Italia se trascorre la maggior parte dell’anno (183 giorni o 184 giorni negli anni bisestili) nel Paese, inclusi i giorni parziali. Questo vale anche per coloro che lavorano in smart working in Italia per la maggior parte dell’anno, indipendentemente dagli altri criteri (domicilio, iscrizione anagrafica, residenza civilistica).
L’iscrizione anagrafica ora costituisce una presunzione relativa di residenza fiscale, quindi si può provare il contrario. In precedenza era una presunzione assoluta.
A differenza della precedente normativa, il concetto di domicilio viene ora valutato con priorità sulle relazioni personali e familiari, piuttosto che economiche, allineandosi agli standard internazionali.
Le nuove regole si applicano a partire dal periodo d’imposta 2024.
Società ed Enti. Una società o ente è considerato residente in Italia se possiede per la maggior parte dell’anno uno tra i seguenti elementi:
- sede legale,
- sede di direzione effettiva,
- gestione ordinaria principale.
E' sufficiente uno di questi tre criteri per determinare la residenza fiscale, purché sussista per la maggior parte del periodo d’imposta.
Le nuove regole per le società e gli enti con esercizio coincidente con l’anno solare si applicano dal 1° gennaio 2024. Per coloro il cui esercizio non coincide con l’anno solare, le regole saranno applicabili al periodo d’imposta successivo al 29 dicembre 2023.
Nuovo concetto di residenza fiscale per persone fisiche
Per le persone fisiche, la normativa precedente stabiliva che, per acquisire la residenza fiscale in Italia, fosse necessario soddisfare almeno una delle seguenti tre condizioni per più di metà dell’anno (183 giorni o 184 nei casi di anni bisestili): essere iscritti nell’anagrafe della popolazione residente, avere il domicilio o la residenza in Italia.
Il Decreto legislativo 209/2023 ha parzialmente modificato i previgenti criteri di collegamento e ha introdotto il criterio della presenza fisica nel territorio dello Stato
Pertanto, dal 2024 sono considerate residenti fiscali in Italia le persone fisiche che, per più della metà del periodo d’imposta (183 giorni in un anno, o 184 nei casi di anni bisestili), soddisfano almeno una delle seguenti condizioni:
- possiedono la residenza in Italia secondo quanto stabilito dal codice civile;
- hanno il domicilio nel territorio italiano, come definito dall’articolo 2, comma 2, del TUIR;
- si trovano fisicamente in Italia, considerando anche le frazioni di giornata;
- risultano iscritte nell’anagrafe della popolazione residente. Quest’ultima condizione, a seguito delle modifiche introdotte dal Decreto, non costituisce più una “presunzione assoluta” di residenza fiscale ma una “presunzione relativa,” che può essere contestata fornendo prove contrarie.
NOTA BENE: Ai fini del computo della maggior parte del periodo d’imposta, si ha riguardo anche a periodi non consecutivi nel corso dell’anno, sommandoli tra loro.
Nuovo criterio del domicilio
Il nuovo articolo 2, comma 2, del TUIR ripropone il criterio della residenza fiscale legata alla presenza del domicilio in Italia, ma ne offre una definizione aggiornata. Ora, per “domicilio” si intende il luogo in cui si concentrano principalmente le relazioni personali e familiari dell’individuo.
Il Legislatore ha scelto di dare priorità ai legami personali e familiari piuttosto che a quelli economici. La categoria delle "relazioni personali e familiari" include sia i rapporti formali riconosciuti dalla normativa, come il matrimonio o l'unione civile, sia legami di natura personale che mostrano stabilità e un radicamento in Italia, come il caso delle coppie conviventi. Anche i rapporti sociali duraturi del contribuente possono essere rilevanti, purché dimostrabili con elementi oggettivi, come l’iscrizione annuale a un’associazione culturale o sportiva.
Dunque, per determinare se una persona fisica ha il proprio domicilio in Italia, è necessario effettuare una verifica che consideri le circostanze precedentemente descritte, senza tralasciare le azioni concrete che dimostrano l’intenzione della persona di mantenere un legame stabile con il territorio italiano.
Ad esempio, si potrebbe considerare il caso di una persona iscritta all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) che lavora all’estero, ma mantiene una casa in Italia, con utenze attive, dove torna nei fine settimana e durante i periodi di pausa dal lavoro. Questi elementi possono indicare un legame significativo con l’Italia e potrebbero portare a considerare il domicilio ancora radicato nel nostro Paese.
Concetto della presenza in Italia
Oltre ai criteri di residenza civilistica, domicilio e iscrizione anagrafica, il Decreto n. 209/2023 ha introdotto un nuovo criterio autonomo per stabilire la residenza fiscale, basato sulla presenza fisica in Italia.
Questo criterio, oggettivo, richiede unicamente la presenza fisica del soggetto sul territorio italiano, indipendentemente dai motivi di tale presenza, senza bisogno di soddisfare alcuno degli altri requisiti previsti dall’articolo 2, comma 2, del TUIR.
Le situazioni in cui questo criterio può essere applicato sono diverse. Ad esempio, riguarda le persone che trascorrono la maggior parte dell’anno in Italia, anche in periodi non consecutivi, per motivi di vacanza, studio o per visitare amici o familiari. Oppure, si applica a coloro che svolgono un’attività lavorativa in Italia — sia come dipendenti, lavoratori autonomi o imprenditori — pur mantenendo la residenza, la famiglia e i legami affettivi all’estero.
In questi casi, non è più necessario soddisfare i requisiti di residenza civilistica, domicilio o iscrizione anagrafica: con le nuove disposizioni del Decreto, è sufficiente la presenza fisica in Italia per la maggior parte dell’anno fiscale per stabilire la residenza fiscale nel Paese.
Tuttavia, circa tale criterio, si tratta di valutazioni da condurre caso per caso, sulla base di elementi fattuali.
Lavoro agile (smart working)
Considerando il crescente utilizzo delle modalità di lavoro agile, è necessario valutare l’impatto del nuovo criterio di presenza fisica introdotto dall’articolo 1 del Decreto 209/2023 sia per i lavoratori che operano da remoto in Italia sia per quelli che lavorano all’estero.
Per la prima categoria, il nuovo requisito della presenza fisica in Italia per la maggior parte dell’anno fiscale si aggiunge ai tradizionali criteri di residenza (con le eccezioni per il domicilio).
Nel paragrafo 1.2 della circolare n. 25/E/2023, la residenza fiscale per chi svolge lavoro agile (smart working) era legata alla permanenza in Italia, per la maggior parte dell’anno, di almeno uno dei criteri di collegamento previsti dal vecchio articolo 2, comma 2, del TUIR (residenza civilistica, domicilio, iscrizione anagrafica). Questo approccio si allinea con la prassi precedente all’entrata in vigore del Decreto.
ATTENZIONE: Con le nuove norme, un lavoratore in smart working che trascorra 183 giorni (o 184 in anni bisestili) in Italia sarà considerato fiscalmente residente.
Va sottolineato che, se un lavoratore in smart working stabilisce la sua residenza fiscale in Italia, dovrà dichiarare e tassare tutti i suoi redditi nel Paese, indipendentemente dalla loro origine, salvo eventuali disposizioni delle Convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall’Italia, che potrebbero prevedere una diversa assegnazione della potestà impositiva per specifici redditi.
Invece, per quanto riguarda i lavoratori in smart working dall’estero, possono essere considerati residenti fiscali in Italia quando, pur trascorrendo almeno 183 giorni (o 184 negli anni bisestili) in un altro Paese, soddisfano uno degli altri requisiti stabiliti dal nuovo articolo 2, comma 2, del TUIR.
In pratica, se mantengono la residenza legale o il domicilio in Italia, o risultano ancora iscritti nell’anagrafe della popolazione residente, possono essere considerati residenti fiscali italiani.
Iscrizione Aire
Il criterio dell’iscrizione nell’Anagrafe della popolazione residente (Aire), a seguito delle modifiche del decreto fiscale 209/2023, assume ora il valore di una presunzione relativa, permettendo al contribuente di fornire prove che dimostrino una realtà diversa rispetto al dato formale.
Pertanto, chi è registrato nell’anagrafe della popolazione residente per gran parte dell’anno fiscale è generalmente considerato residente ai fini fiscali in Italia, a meno che non riesca a dimostrare che tale iscrizione non riflette una residenza effettiva nel Paese.
Regime degli impatriati
La circolare n. 20/E/2024 dedica un paragrafo ai regimi agevolativi per le persone che trasferiscono la residenza in Italia.
Poiché la nuova disciplina trova applicazione a partire dal periodo d’imposta 2024, il requisito della mancata residenza fiscale in Italia negli anni precedenti, propedeutico all’accesso a tali regimi agevolativi, andrà valutato alla luce del nuovo articolo 2, comma 2, del Tuir, solamente per i periodi d’imposta 2024 e successivi, restando ferma la disciplina previgente fino al periodo d’imposta 2023.
Residenza ai fini Ires
La parte II del documento agenziale del 4 novembre 2024, n. 20, è riservato alla residenza delle società e degli enti.
Nella versione precedente dell’articolo 73, comma 3, del TUIR, una società o un ente erano considerati fiscalmente residenti in Italia se, per la maggior parte dell’anno, avevano la sede legale, la sede amministrativa o il centro principale delle attività nel territorio italiano. Questi tre criteri erano alternativi, quindi bastava che uno solo fosse soddisfatto per stabilire la residenza fiscale in Italia.
Ora l’articolo riformulato dispone che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato:
- la sede legale
o
- la sede di direzione effettiva
o
- la gestione ordinaria in via principale.
Stesso concetto è espresso per la residenza delle società di persone e soggetti assimilati.
Dunque, rimane immutato il criterio della sede legale in Italia ma sono rimossi i riferimenti alla sede amministrativa, sostituiti ora dai criteri della sede di direzione effettiva e della gestione ordinaria prevalente, in linea con le pratiche internazionali. Inoltre, è stato eliminato il criterio dell’oggetto principale, che in passato aveva generato controversie e difficoltà interpretative, come indicato nella Relazione illustrativa del Decreto.
Permane la regola dell’alternatività dei tre criteri, essendo sufficiente la ricorrenza di uno solo di essi per configurare la residenza in Italia e la necessità che la sussistenza del criterio si protragga per la maggior parte del periodo d’imposta.
Sede di direzione effettiva
La circolare analizza le motivazioni che hanno portato all’adozione del criterio della sede di direzione effettiva, concepito per risolvere le ambiguità interpretative e pratiche.
A tal proposito, il nuovo articolo 73, comma 3 del TUIR, definisce la sede di direzione effettiva come il luogo dove vengono prese in modo continuo e coordinato le decisioni strategiche che riguardano l’intera gestione della società o dell’ente. Si sottolinea che non è rilevante, ai fini della residenza fiscale in Italia, il luogo in cui i soci prendono decisioni, a meno che queste non abbiano natura gestionale.
Sede della gestione ordinaria in via principale
Il secondo nuovo criterio introdotto riguarda il luogo in cui si svolge principalmente la gestione quotidiana dell’organizzazione. Questo criterio ha una valenza autonoma e rappresenta un’alternativa alla sede di direzione effettiva.
La sede della gestione ordinaria principale stabilisce un concreto legame tra la società o l’ente e il territorio italiano, dimostrando l’obiettivo di aumentare la certezza giuridica.
Secondo l’articolo 2 del Decreto 209/2023, che modifica il comma 3 dell’articolo 73 del TUIR, la gestione ordinaria principale si riferisce al compimento continuo e coordinato degli atti di gestione quotidiana relativi all’ente o alla società nel suo insieme.
Questa impostazione è allineata con il paragrafo 24.1 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE, il quale afferma che uno dei fattori per risolvere i conflitti di residenza a favore di uno Stato è il luogo in cui si svolge la gestione giornaliera dell’attività.
Pertanto, questo criterio si riferisce al luogo in cui si attuano le attività quotidiane dell’ente e dove vengono svolte le operazioni di gestione ordinaria.
A questo proposito, è importante evidenziare che i criteri per individuare la gestione ordinaria possono variare in funzione della struttura aziendale, del tipo di attività svolta e dell’organizzazione complessiva dell’impresa o ente. Pertanto, non è possibile definire una lista completa e generica di attività che rappresentino la gestione ordinaria.
Inoltre, si chiarisce che la gestione deve riguardare l’intera impresa, con l’obiettivo di differenziare lo Stato di residenza della persona giuridica dal luogo in cui è situata una eventuale stabile organizzazione.
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