Reintegra o risarcimento, corretta interpretazione delle clausole dei CCNL

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Reintegra o risarcimento, corretta interpretazione delle clausole dei CCNL

Tutela reale o risarcitoria in caso di licenziamento disciplinare illegittimo per condotta commessa dal lavoratore dietro condizionamento dei capi? La Cassazione sulla corretta interpretazione delle clausole dei CCNL.

La Suprema corte, con sentenza n. 19585 del 9 luglio 2021, ha accolto le doglianze avanzate da una lavoratrice contro la decisione con cui la Corte di secondo grado, nel dichiarare l’illegittimità del licenziamento disciplinare alla stessa comminato dal datore di lavoro, aveva escluso l'applicazione della tutela reintegratoria, disponendo a suo favore solo il diritto al risarcimento.

Licenziamento disciplinare illegittimo: reintegro o indennità risarcitoria?

Alla lavoratrice, addetta al bar presso un centro commerciale, era stato addebitato di aver omesso la registrazione di ben 22 acquisti e l’omessa consegna degli scontrini ai clienti, con connesso omesso versamento dei corrispettivi in cassa per alcuni giorni.

Omessa registrazione di acquisti su richiesta dei capi. Negligenza o condotta consapevole per indebiti vantaggi?

Il Tribunale, in primo grado, insieme alla declaratoria di illegittimità del recesso aveva disposto la reintegra: dall’istruttoria era emerso che erano stati i responsabili del punto vendita a chiedere alla dipendente, così come agli altri addetti alla vendita, di non registrare gli acquisti, al fine di consentire l’utilizzo del denaro il cui incasso non era stato registrato per simulare l’acquisto di prodotti in promozione la cui vendita dava diritto a premi per i direttori, per i capi area e per lo stesso punto vendita.

Trattandosi di condotta comune ad altre colleghe, era stato ritenuto che il comportamento della lavoratrice, anche se non giustificabile, non rientrasse tra le ipotesi per le quali il CCNL di riferimento prevedeva la sanzione espulsiva ma dovesse essere valutato alla stregua di una negligenza nell’adempimento degli obblighi lavorativi, ipotesi per la quale il Contratto collettivo disponeva una sanzione conservativa: nella fattispecie, quindi, doveva applicarsi l’art. 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori, con reintegro della ricorrente nel posto di lavoro e risarcimento del danno pari a 12 mensilità di retribuzione.

La Corte di gravame, invece, ritenendo che la fattispecie rientrasse nelle “altre ipotesi” di cui al comma 5 dell’art. 18, per difetto di proporzionalità tra condotta e sanzione, aveva dichiarato risolto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condannato il datore a rifondere alla prestatrice di un’indennità pari a 18 mensilità.

Secondo i giudici di gravame, la condotta della lavoratrice non poteva considerarsi come frutto di semplice negligenza ma costituiva un comportamento consapevole volto a far conseguire ad altri e a sé vantaggi indebiti, cosicché andava applicato il principio ermeneutico secondo cui, quando vi è sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela reale solo quando il fatto accertato rientri tra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili, mentre va riconosciuta la tutela risarcitoria se, come nel caso in esame, la condotta addebitata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali è prevista una sanzione conservativa.

La lavoratrice si era rivolta al Collegio di legittimità, lamentando, da una parte, un’erronea sussunzione della fattispecie concreta nella normativa astratta invocata, dall’altra, la nullità della sentenza per motivazione apparente e palesemente contraddittoria.

Doglianze, queste, accolte dalla Corte di cassazione che ha cassato, con rinvio, la decisione impugnata.

Contratti collettivi, clausole da interpretare in correlazione tra loro

Gli Ermellini, nella loro disamina, hanno fornito alcune precisazioni per quel che concerne l’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi: l’art. 1362 c.c. impone un’indagine sulla comune intenzione delle parti, senza limitarsi al senso letterale delle parole, il cui rilievo va verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale “sicché le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro”.

Così, anche se è stato escluso, nella particolare materia in oggetto, il ricorso all’applicazione analogica, non può tuttavia escludersi la praticabilità di un’interpretazione estensiva delle clausole contrattuali ove esse appaiano inadeguate per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, trattandosi di contenuto carente rispetto all’intenzione.

In definitiva, per stabilire quale sia la portata applicativa delle ipotesi contemplate dal contratto collettivo per le quali è prevista l’irrogazione di una sanzione conservativa, l’esegesi della norma va condotta attraverso la corretta e completa applicazione dei tradizionali criteri di ermeneutica contrattuale, interpretazione che – secondo la Corte – era mancata nella sentenza impugnata.

Nella specie, l’omessa disamina della disciplina contrattuale rendeva la decisione radicalmente carente di motivazione, considerate anche le rilevanti contraddizioni logiche rilevate nella valutazione dell’elemento psicologico ascritto: pur escludendo l’ipotesi della negligenza, la sentenza aveva riferito di un grado di colpa modesto, non meglio specificando quale tipologia di condotta colposa fosse addebitabile alla ricorrente, alla quale, al contempo, era ascritto un comportamento doloso, in quanto “consapevolmente volto a far conseguire …vantaggi indebiti”.

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