Prestazioni di disoccupazione indebite per riclassificazione aziendale: indicazioni Inps

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Una corretta classificazione dell’attività economica di un’impresa riveste un ruolo fondamentale nell’ambito previdenziale e assistenziale, in quanto da essa discende l’inquadramento contributivo applicabile ai rapporti di lavoro instaurati; un errore in tal senso può infatti comportare non solo irregolarità contributive, ma anche conseguenze sulle prestazioni erogate dall’Inps, in particolare in materia di disoccupazione.

Nel messaggio n. 2425 del 1° agosto 2025 l’Inps ha quindi fornito nuove indicazioni operative per la gestione delle domande di disoccupazione considerate indebite in seguito a provvedimenti di riclassificazione aziendale disposti d’ufficio dall’Istituto.

Nello specifico, viene chiarito il trattamento da riservare ai lavoratori coinvolti in casi di passaggio del datore di lavoro da un settore contributivo all’altro - in particolare tra settore agricolo e non agricolo - a seguito di accertamenti ispettivi o rivalutazioni formali dell’attività esercitata.

Riclassificazione dell’impresa e delle posizioni lavorative: cosa significa

La riclassificazione aziendale consiste in un provvedimento, spesso adottato d’ufficio dall’Inps, che modifica l’inquadramento contributivo di un’impresa sulla base della reale attività economica esercitata.

Si tratta dunque di una rivalutazione della categoria di appartenenza dell’azienda rispetto agli obblighi previdenziali e assicurativi.

Questa operazione può riguardare, ad esempio, l’individuazione errata del settore di attività dichiarato al momento dell’iscrizione o nel corso degli aggiornamenti aziendali e tale errore può derivare da dichiarazioni inesatte del datore di lavoro, da accertamenti ispettivi o da controlli amministrativi volti a verificare la coerenza tra l’attività dichiarata e quella effettivamente esercitata.

In particolare, la riclassificazione oggetto del messaggio n. 2425/25 può avvenire in due direzioni:

  • dal settore agricolo al settore non agricolo, ossia dalla gestione contributiva per lavoratori agricoli alla gestione ordinaria per lavoratori dipendenti;
  • dal settore non agricolo al settore agricolo, in caso contrario.

NOTA BENE: la modifica di inquadramento ha effetti retroattivi, quindi può incidere anche su prestazioni già riconosciute in passato in base all’inquadramento errato.

Ambito di applicazione

Il provvedimento interessa principalmente le domande di indennità di disoccupazione, come NASpI per il settore non agricolo, e disoccupazione agricola per il settore primario.

Le due prestazioni sono distinte sia in termini di requisiti che di termini di presentazione delle domande: un errore nella classificazione del datore di lavoro può quindi compromettere il diritto del lavoratore ad accedere alla prestazione corretta, oppure determinare l’insorgenza di un indebito da restituire all’Inps.

Esempo pratico: passaggio da settore agricolo a non agricolo

Per comprendere meglio gli effetti della riclassificazione, si consideri il caso in cui un’azienda risulti inizialmente inquadrata nel settore agricolo e i propri lavoratori dipendenti presentino quindi domanda di disoccupazione agricola.

Successivamente, l’Inps accerta che l’attività svolta dall’impresa rientra in realtà nel settore manifatturiero o dei servizi, procedendo con la riclassificazione d’ufficio dell’impresa.

A quel punto, le indennità di disoccupazione agricola già erogate vengono considerate indebite, poiché i lavoratori - se correttamente inquadrati - avrebbero dovuto richiedere la NASpI. Tuttavia, se il termine per la presentazione della domanda NASpI risulta scaduto, i lavoratori non hanno modo di accedere alla nuova prestazione, e potrebbero vedersi richiedere la restituzione delle somme già percepite.

La nuova posizione dell’Inps riportata dal messaggio n. 2425 del 1° agosto 2025 ribalta questa logica: i lavoratori non devono restituire l’indennità qualora non abbiano potuto presentare la nuova domanda per scadenza dei termini, in quanto estranei al procedimento amministrativo che ha portato alla riclassificazione.

Effetti della riclassificazione sulle posizioni contributive

Iscrizione del lavoratore a una gestione diversa

Il principale effetto amministrativo della riclassificazione aziendale consiste nel trasferimento del lavoratore da una gestione previdenziale a un’altra. In ambito Inps, le gestioni di riferimento per i lavoratori subordinati sono:

  • Gestione agricola, per lavoratori dipendenti di imprese agricole;
  • Gestione ordinaria (ex Inpdap o gestione privata), per la generalità dei lavoratori dipendenti non agricoli.

Con il cambio di Gestione:

  • vengono modificati i codici di inquadramento;
  • si aggiorna la posizione contributiva del datore di lavoro;
  • si riconsiderano le denunce UniEmens eventualmente trasmesse;
  • cambiano i requisiti e i riferimenti per la fruizione di prestazioni previdenziali.

Tali modifiche hanno un effetto retroattivo, e quindi possono incidere su trattamenti economici già erogati, comprese le indennità di disoccupazione.

Conseguenze sui rapporti di lavoro dichiarati

Le conseguenze della riclassificazione si riflettono direttamente sui rapporti di lavoro dichiarati, specialmente quando l’attività svolta non corrisponde a quanto indicato nelle comunicazioni obbligatorie (es. comunicazioni di instaurazione del rapporto di lavoro, Modello UNILAV, DMAG/UniEmens).

Nel caso in cui un datore di lavoro abbia erroneamente dichiarato l’appartenenza al settore agricolo pur esercitando un’attività diversa, i rapporti di lavoro instaurati sotto quella Gestione risultano formalmente viziati e, quindi, i lavoratori hanno presentato istanza di disoccupazione sulla base di tale inquadramento errato ne consegue una prestazione potenzialmente indebita.

Tuttavia, l’Inps ha chiarito che, fatta salva la prova del dolo, i lavoratori non devono essere penalizzati per errori non imputabili alla loro condotta in quanto, secondo quanto riportato nel messaggio n. 2425/25, l’effetto retroattivo della riclassificazione ha la funzione di incentivare i datori di lavoro alla corretta gestione dei rapporti previdenziali ma non può produrre effetti sfavorevoli nei confronti dei dipendenti, che risultano estranei al procedimento.

Domande di disoccupazione e indebiti: cosa cambia

Con il messaggio Inps n. 2425 del 1° agosto 2025, l’Istituto introduce dunque un cambio di rotta significativo: si stabilisce infatti che, fatti salvi i casi di dolo, l’effetto retroattivo della riclassificazione non può produrre effetti negativi sui lavoratori.

In altre parole, il principio secondo cui la riclassificazione ha efficacia ex tunc, ossia dalla data originaria dell’errata iscrizione, non può essere applicato per revocare prestazioni già erogate a lavoratori in buona fede.

Questa nuova impostazione è ispirata a un principio di equità sostanziale: i lavoratori non possono essere ritenuti responsabili di omissioni o inesattezze commesse dal datore di lavoro, a meno che non vi sia una loro partecipazione attiva e consapevole. Di conseguenza:

  • se il termine per la presentazione della domanda nella gestione corretta è scaduto al momento della comunicazione del provvedimento di riclassificazione, il lavoratore mantiene il diritto alle somme percepite;
  • l’Inps non procederà alla notifica dell’indebito nei confronti del lavoratore;
  • i procedimenti di recupero già avviati e ancora pendenti devono essere archiviati in autotutela.

Tutela del lavoratore e principio costituzionale

La nuova posizione assunta dall’Inps trova fondamento anche in un principio di rango costituzionale. L’articolo 38, comma 2, della Costituzione stabilisce che: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”

L’interpretazione di tale norma in chiave sistematica impone che la tutela previdenziale non possa essere sacrificata per motivi puramente formali o per errori imputabili a soggetti diversi dal lavoratore. Il diritto all’indennità di disoccupazione, in quanto strumento essenziale di protezione sociale, non può essere negato o revocato a un soggetto che ha agito in buona fede e che si trova in una condizione di reale bisogno economico.

In tale ottica, l’applicazione automatica della retroattività delle riclassificazioni aziendali, con conseguente revoca delle prestazioni, è stata ritenuta incompatibile con i principi costituzionali, in particolare quando il lavoratore non è stato messo nella condizione di conoscere o correggere l’errore commesso dal datore di lavoro.

Irrilevanza della responsabilità del lavoratore in caso di errore del datore di lavoro

Elemento centrale della nuova disciplina è l’affermazione del principio di non imputabilità al lavoratore degli errori dell’impresa, principio che si traduce operativamente nella non restituzione delle indennità percepite in buona fede, anche qualora il presupposto formale della prestazione venga a mancare a seguito della riclassificazione.

La colpevolezza del datore di lavoro - per dichiarazioni inesatte, errori di classificazione o omissioni - non può dunque ricadere sul lavoratore, che non dispone né dei mezzi informativi né delle competenze per valutare l’esattezza dell’inquadramento contributivo aziendale. Per questo motivo:

  • il lavoratore è considerato estraneo al procedimento amministrativo di riclassificazione;
  • l’eventuale richiesta di rimborso da parte dell’Inps è illegittima in assenza di dolo;
  • i ricorsi amministrativi pendenti relativi a indebiti notificati devono essere rivalutati alla luce delle nuove indicazioni.

Modifica rispetto alla circolare n. 56 del 2020

Con il messaggio n. 2425 del 1° agosto 2025, l’Inps introduce quindi un’importante revisione delle indicazioni operative già fornite con la circolare n. 56 del 2020 che, in presenza di una riclassificazione, aveva sancito che le prestazioni di disoccupazione erogate sulla base dell’errato inquadramento dovevano essere riesaminate. Qualora fossero risultate non spettanti rispetto al nuovo settore di riferimento, l’indennità già corrisposta veniva considerata indebita e soggetta a recupero, anche qualora il lavoratore non fosse responsabile dell’errore.

Alla luce del nuovo orientamento, l’Inps prevede che le somme percepite a titolo di indennità di disoccupazione non debbano essere restituite, nei casi in cui:

  • la riclassificazione del datore di lavoro comporti un cambio di settore (da agricolo a non agricolo o viceversa);
  • il lavoratore abbia già percepito una prestazione di disoccupazione;
  • i termini per la presentazione della domanda per il nuovo settore risultino scaduti al momento della comunicazione della riclassificazione.

In questi scenari, il lavoratore conserva il diritto alla prestazione già erogata, senza necessità di attivare un procedimento di restituzione, a meno che non sia dimostrabile una condotta dolosa.

Casistiche principali oggetto del messaggio Inps n. 2425/2025

Il messaggio dell’Inps individua quattro casistiche operative principali, che affrontano in maniera dettagliata le varie ipotesi di riclassificazione e gli effetti conseguenti sulla prestazione di disoccupazione.

1. Riclassificazione da agricolo a non agricolo

In questa prima ipotesi, il datore di lavoro era originariamente inquadrato nel settore agricolo, ma in seguito alla riclassificazione l’attività viene ricondotta al settore non agricolo. I lavoratori avevano pertanto presentato domanda di disoccupazione agricola, sulla base delle informazioni formali disponibili all’epoca.

Se, al momento della comunicazione della riclassificazione, i termini per presentare domanda NASpI risultano scaduti, i lavoratori non sono tenuti a restituire l’indennità agricola già percepita. Questo perché l’errore è imputabile esclusivamente al datore di lavoro e il lavoratore ha agito in buona fede.

2. Riclassificazione da non agricolo ad agricolo

Il secondo scenario riguarda il passaggio inverso: l’impresa è inizialmente classificata nel settore non agricolo, ma in seguito è ricondotta al settore agricolo. I lavoratori, sulla base del primo inquadramento, avevano richiesto e ottenuto la NASpI.

Anche in questo caso, se i termini per la domanda di disoccupazione agricola risultano già decorsi, i lavoratori mantengono il diritto a conservare le somme NASpI percepite. L’Inps, pertanto, non avvia il recupero dell’indennità erogata.

3. Termini non ancora scaduti: possibilità di nuova domanda e compensazione

La terza casistica si verifica nel caso in cui, alla data di comunicazione della riclassificazione aziendale, i termini per la presentazione della domanda di disoccupazione nella nuova gestione non siano ancora scaduti. In questa ipotesi, il lavoratore ha la facoltà di presentare una nuova domanda per la prestazione corretta (NASpI o disoccupazione agricola, a seconda dei casi).

Se nel frattempo è già stata erogata un’altra indennità basata sull’inquadramento errato, è prevista la possibilità di effettuare una compensazione tra le due prestazioni. La compensazione è effettuata entro il limite dell’importo della nuova indennità spettante; eventuali somme eccedenti non sono più oggetto di recupero da parte dell’Istituto.

4. Gestione dei ricorsi amministrativi pendenti

Infine, il messaggio n. 2425/2025 disciplina il trattamento dei ricorsi amministrativi pendenti relativi a indebiti già notificati, ma per i quali non sia ancora intervenuto un atto formale di riconoscimento dell’indebito (ad esempio, una richiesta di rateizzazione).

In tali casi, l’Inps precisa che le strutture territoriali dovranno procedere alla definizione del contenzioso in autotutela, applicando i principi di buona fede e irrilevanza della condotta del lavoratore.

L’autotutela dovrà concludersi con l’annullamento dell’indebito, in tutti i casi in cui:

  • la domanda sia stata presentata prima della riclassificazione;
  • il lavoratore abbia agito in buona fede;
  • i termini per presentare una nuova domanda risultino ormai decaduti.

In breve

Casistica

Condizione

Prestazione erogata

Termine per nuova domanda

Trattamento previsto dall’Inps

1. Da agricolo a non agricolo

Lavoratore ha percepito disoccupazione agricola

Disoccupazione agricola

Termine NASpI scaduto

Nessuna restituzione. Il lavoratore conserva l’indennità agricola.

2. Da non agricolo ad agricolo

Lavoratore ha percepito NASpI

NASpI

Termine per domanda agricola scaduto

Nessuna restituzione. Il lavoratore conserva la NASpI.

3. Termini non ancora scaduti

Riclassificazione avvenuta ma i termini per la nuova domanda sono ancora validi

Indennità errata già percepita (agricola o NASpI)

Termine nuovo settore ancora aperto

Presentazione nuova domanda. Possibile compensazione con la prestazione già erogata.

4. Ricorso pendente per indebito

Indebito già notificato ma non ancora definito

Qualsiasi

Definizione in autotutela. L’indebito viene annullato, salvo dolo del lavoratore.

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