Reddito di cittadinanza: non spetta a chi si rovina con il gioco
Pubblicato il 02 aprile 2024
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E' legittimo e ragionevole che il Legislatore abbia escluso dal Reddito di cittadinanza (Rdc) chi si sia rovinato con il gioco.
Del resto, è la ludopatia - e non la povertà da ludopatia - a rappresentare uno degli ostacoli di fatto che la Repubblica italiana è tenuta a rimuovere.
Lo ha puntualizzato la Corte costituzionale nel testo della sentenza n. 54 del 29 marzo 2024, con cui si è pronunciata sulla legittimità degli articoli 3, comma 11, e 7, commi 1 e 2, del Decreto legge n. 4/2019, che sanzionano penalmente l’omessa dichiarazione delle vincite lorde al fine di accedere al Rdc o di mantenerlo.
Rdc, legittima l'esclusione per chi si rovina con il gioco
La Consulta, in particolare, ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Foggia, in riferimento agli articoli 2 e 27 della Costituzione, nonché ai principi di uguaglianza sostanziale e di tassatività delle norme penali, di cui agli articoli 3, secondo comma, e 25 della medesima Carta costituzionale.
Il caso esaminato
La vicenda all'esame del Tribunale rimettente aveva ad oggetto la richiesta di rinvio a giudizio di un imputato, cui era stato contestato:
- di avere omesso di dichiarare le vincite conseguite al gioco nei due anni precedenti la presentazione della domanda per ottenere il reddito di cittadinanza;
- di comunicare gli importi delle vincite da gioco on line conseguite nel 2019, anno in cui egli aveva percepito il beneficio del Rdc.
Principio di tassatività: nessuna violazione
Il giudice rimettente, in primo luogo, aveva prospettato la violazione del principio di tassatività sotto due profili:
- il mancato riferimento a cosa debba essere ricompreso nella locuzione "informazioni dovute" la cui omessa dichiarazione o comunicazione è penalmente sanzionata;
- la mancata indicazione delle modalità con cui portare a conoscenza dell’ente erogatore le vincite.
Censure, queste, entrambe giudicate infondate dai giudici costituzionali.
Da una parte, l’espressione richiamata "informazioni dovute", presente nella descrizione della fattispecie incriminatrice, per quanto sommaria, andava immediatamente collegata ai requisiti previsti per l’accesso e per il godimento continuativo del Rdc e che si sostanziano, ai fini del presente giudizio, nei requisiti reddituali e patrimoniali, commisurati al valore dell’ISEE.
E infondato risultava anche il secondo profilo di violazione del medesimo principio, relativo all'asserita oscuratezza delle modalità con cui comunicare le variazioni del reddito del beneficiario conseguenti alle vincite.
Difatti - ha precisato la Corte costituzionale - anche se la voce "vincite" è menzionata soltanto nel modello predisposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per le comunicazioni dei beneficiari del Rdc, andava considerato che l’art. 5, comma 1, dello stesso Decreto legge n. 4/2019 fa riferimento proprio a tale modalità di comunicazione per le variazioni reddituali che avvengano durante il periodo di godimento del beneficio.
Ne discende che il beneficiario del reddito di cittadinanza, destinatario della fattispecie incriminatrice, è ben in grado di conoscere le modalità per informare l’INPS delle variazioni intervenute.
Andava escluso, in definitiva, che le disposizioni censurate potessero ritenersi in contraddizione con il richiamato principio di tassatività.
Vietato usare il Rdc per il gioco
E' stata giudicata infondata, a seguire, anche l'asserita violazione del principio di eguaglianza sostanziale.
Sul punto, la Consulta ha chiarito che il Rdc risulta strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo precedente alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a causa delle perdite subite, sono rimaste comunque povere.
La giocata on line, del resto, assume il carattere di una qualunque spesa, in questo caso voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la disponibilità, coincidente con l’accreditamento delle vincite sul suo conto gioco: va escluso, ciò posto, che la solidarietà pubblica possa farsi carico di una spesa di tal genere.
Dato, inoltre, che, nelle predette ipotesi, vanno dichiarate le vincite al gioco, senza che sia possibile considerare le relative perdite, la situazione di povertà in cui la persona si sia venuta a trovare nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando.
Diversamente ragionando, si rischierebbe non solo di alimentare la ludopatia in chi ancora ne soffre, ma anche di creare, in ogni caso, una rete di salvataggio che si risolverebbe in un deresponsabilizzante incentivo al gioco d’azzardo.
Esclusa la violazione del principio di eguaglianza
Ne conseguiva l'inconfigurabilità della prospettata violazione del principio di eguaglianza sostanziale, risultando ragionevole che il legislatore abbia escluso dai compiti della Repubblica quello di assegnare il Rdc a chi, poco prima, si sia rovinato con il gioco.
Da qui la non irragionevolezza della pena prevista dall'art. 7, comma 1, per chi, ai fini dell’ammissione al beneficio, non dichiari le vincite lorde ottenute rilevanti per la determinazione dell’ISEE.
In conclusione - si legge nella decisione della Corte costituzionale - ciò che lo Stato è tenuto a combattere non è la povertà da ludopatia, ma la ludopatia stessa, ostacolo al pieno sviluppo alla persona.
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