Proroga per il contratto a termine acausale
Pubblicato il 05 settembre 2013
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Prime indicazioni sulle novità contenute nel definitivo Decreto Lavoro giungono dal ministero del Lavoro con la circolare del 29 agosto, n. 35. Per promuovere l'occupazione, soprattutto nell'ambito giovanile, sono state eliminate delle rigidità introdotte dalla legge Fornero. Per quanto riguarda il contratto a termine, è stato depennato il divieto di proroga per il tipo acausale: non solo, si precisa che ciò vale anche per i contratti in essere (non devono essere scaduti). Dal 28 giugno, l'intervallo tra due contratti a tempo determinato è fissato in dieci o venti giorni, a seconda che il primo contratto abbia una durata fino a sei mesi ovvero superiore a sei mesi.
CONTRATTO A TERMINE ACAUSALE
Nell'ambito della sottoscrizione dei contratti di lavoro tra datore e lavoratore è possibile convenire un rapporto di lavoro subordinato a termine, se esistono ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
Però, anche all'indomani della legge Fornero, è stata prevista la categoria dei contratti a termine acausali caratterizzati, cioè, dall'assenza dei motivi sopra indicati.
Il D.L. n.76 – del 28 giugno 2013 – convertito con legge n. 99 del 9 agosto 2013, riscrive l'articolo 1, comma 1-bis del D.Lgs. 368/2001, disponendo che il contratto a tempo determinato non necessita di motivazioni:
a. per il primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a 12 mesi comprensiva di eventuale proroga, stipulato fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato; |
b. in ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. |
E' possibile sostenere che, dopo l'approvazione del Decreto Lavoro, la disciplina del contratto a termine acausale prevede due tipologie:
1. primo contratto stipulato da due parti, di durata massima di 12 mesi (compresa la proroga)
2. contratto sottoscritto in base a quanto previsto dai ccnl, che può anche stabilire una durata superiore a 12 mesi o che può essere stipulato da soggetti fra i quali vi è stato già un precedente rapporto di lavoro subordinato.
Altra modifica apportata dal Decreto Lavoro tocca la prorogabilità di questo contratto: viene abrogato il comma 2-bis dell'articolo 4 del D.Lgs. 368/2001, che si traduce nell'eliminazione del vincolo della improrogabilità del primo contratto a termine acausale.
Quindi, tale contratto può essere prorogato – fermo il limite della durata massima di 12 mesi - e la modifica opera già per i contratti sottoscritti prima del 28 giugno 2013 (data entrata in vigore del dl n. 76/2013) e che siano ancora in corso.
La circolare del ministero del Lavoro n. 35, del 29 agosto 2013, pone in evidenza che in sede di apertura alla prorogabilità, il decreto Lavoro afferma che si applica l'art. 4 del D.Lgs. 368/2001, ad eccezione del requisito relativo alla “esistenza delle ragioni che giustificano l’eventuale proroga”, intendendo con ciò dire:
-> che può essere ammessa una sola proroga
-> per la stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato.
Non deve, invece, essere rispettato il requisito della sussistenza di obiettive ragioni a giustificazione della proroga.
I periodi cuscinetto
Altra modifica effettuata dal Decreto Lavoro concerne i periodi cuscinetto - art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001. Tali periodi (30 giorni in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero 50 giorni negli altri casi) si intendono allargati anche al contratto acausale, con la conseguenza che, precisa la circolare n. 35/2013, la durata massima del contratto acausale è di 12 mesi e 50 giorni; superato tale arco di tempo, il rapporto si trasforma in contratto subordinato a tempo indeterminato.
L'estensione dei periodi cuscinetto a tale contratto ha come conseguenza anche l'applicazione del comma 1 dell'art. 5 in commento, relativa alla maggiorazione retributiva, a favore del lavoratore, qualora il rapporto continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato. Il datore di lavoro dovrà corrispondere una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, che diventa quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.
Il D.L. n. 76/2013 prevede l'eliminazione dell'onere, a carico del datore di lavoro, di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente la continuazione di fatto del rapporto a termine oltre la scadenza fissata (art. 5, comma 2-bis).
Permane, invece, l'obbligo comunicativo fissato dal D.Lgs. n. 181/2000, art. 4-bis, comma 5, secondo il quale i datori di lavoro privati sono tenuti a comunicare, entro cinque giorni, al servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro, le variazioni del rapporto di lavoro quali:
- la proroga del termine inizialmente fissato;
- la trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato.
Intervallo tra i contratti a termine
Sulla durata del periodo di tempo che deve intercorrere tra due contratti di lavoro a termine, il nuovo Decreto Lavoro torna alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore della legge Fornero (L. n. 92/2012).
Sono stati reintrodotti i termini di 10 o 20 giorni (a seconda che il primo contratto abbia una durata fino a sei mesi ovvero superiore a sei mesi), al posto dei previsti 60 e 90.
Pertanto, la riassunzione potrà essere effettuata entro 10 giorni, in caso di contratto a termine di durata fino a 6 mesi, od entro 20 giorni, nel caso di contratto a tempo determinato di durata superiore a 6 mesi. Se tale intervallo non viene rispettato, si rammenta, si incorre nella conversione in un contratto a tempo indeterminato del secondo contratto a termine.
Il rispetto degli intervalli non opera per i lavoratori stagionali e nelle ipotesi previste dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Infine, il D.L. n. 76/2013 amplia le categorie di lavoratori a cui non si applica la normativa riguardante il contratto a termine, aggiungendo i lavoratori in mobilità.
LAVORO INTERMITTENTE
Rappresenta una sostanziale novità l'introduzione di un limite alla durata del rapporto di lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata, che prevede prestazioni di carattere discontinuo o intermittente).
Il decreto n. 76/2013 ha introdotto il limite complessivo di durata, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, di 400 giorni nell’arco di tre anni solari, a superamento dei quali il rapporto si trasforma a tempo pieno ed indeterminato. |
Non subiscono variazioni i limiti di carattere soggettivo ed oggettivo previsti dal decreto legislativo n. 276/2003.
Quindi, il lavoro intermittente può essere prestato per non più di 400 giorni nell’arco di tre anni solari; la circolare n. 35 chiarisce che:
> il conteggio va effettuato a partire dalle prestazioni successive al 28 giugno 2013;
> vanno considerate le sole giornate di effettivo lavoro;
> il vincolo di 400 giornate non riguarda i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo.
Ulteriore modifica, ancora per il rapporto di lavoro intermittente, riguarda lo spostamento al 1° gennaio 2014 (dalla precedente data del 18 luglio 2013) del termine di decadenza previsto per i contratti a chiamata (a tempo determinato e indeterminato) attivi alla data del 18/7/2012 ma non conformi alla legge n. 92/2012.
La norma stabilisce che i contratti vigenti al 18 luglio 2012, incompatibili con i parametri introdotti dalla riforma, devono comunque concludersi entro il 1° gennaio 2014; diversamente, viene stabilita la cessazione ex lege.
A seguito della cessazione ad opera della legge, si precisa che il datore di lavoro non è tenuto al versamento del contributo fissato per le interruzioni del rapporto di lavoro, essendo un obbligo imposto dalla legge.
Permane, invece, l'obbligo di effettuare la comunicazione di fine rapporto al Centro per l'impiego.
L'inadempimento all'obbligo di cessare il rapporto comporta la trasformazione del contratto in uno a tempo indeterminato.
CO.CO.PRO.
Nell'ambito della tipologia del contratto di collaborazione a progetto, il D.L. n. 76/2013 fornisce delle utili precisazioni:
1. è stata modificata la dizione “compiti meramente esecutivi o ripetitivi” - dell'articolo 61, D.Lgs. n. 276/2003 - con “compiti meramente esecutivi e ripetitivi”. Ciò consente, come riferisce il ministero, di porre in evidenza l’incompatibilità dell’istituto con attività che si risolvano nella mera attuazione di quanto impartito dal committente (compiti meramente “esecutivi”) e che risultano elementari, cioè tali da non richiedere specifiche indicazioni di carattere operativo (compiti meramente “ripetitivi”).
2. qualora il contratto di collaborazione a progetto sia stipulato a fini di attività di ricerca scientifica, la proroga dell'attività di ricerca si riflette automaticamente sul rapporto di lavoro del ricercatore, che quindi si allunga temporalmente, senza particolari formalità.
QUADRO DELLE NORME |
- Decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 - Legge 28 giugno 2012, n. 92 - D.L. 28 giugno 2013, n. 76, convertito con legge n. 99 del 9 agosto 2013 - Circolare ministro del Lavoro 29 agosto 2013, n. 35 |
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