Permessi premio e reati ostativi: depositata la sentenza della Consulta
Pubblicato il 05 dicembre 2019
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E’ stata pubblicata l’attesa sentenza della Corte costituzionale in tema di reati ostativi e permessi premio in favore di detenuti condannati per reati di associazione mafiosa e/o di contesto mafioso che non collaborino con la giustizia.
Le conclusioni della pronuncia della Consulta erano state anticipate in comunicato dell’Ufficio stampa della Corte, diffuso il 23 ottobre 2019, nel quale era stata resa nota la declaratoria di illegittimità della previsione dell’Ordinamento penitenziario che impedisce i permessi a chi non coopera anche se non ci sono più elementi di collegamento tra lui e la criminalità organizzata.
L’articolo censurato è il 4-bis, comma 1 della Legge n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte, appunto, in cui esclude dalla concessione di benefici alternativi alla detenzione chi, condannato per i più gravi reati, non collabora con la giustizia.
Le relative previsioni sono state giudicate contrarie ai principi di ragionevolezza e della funzione rieducativa della pena di cui, rispettivamente, agli articoli 3 e 27 della Costituzione.
Illegittimità costituzionale parziale
Con la sentenza n. 253 depositata ieri, 4 dicembre 2019, la Consulta ha dichiarato l’incostituzionalità di questo articolo:
- in primo luogo, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di mafia di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio “anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti”;
- in secondo luogo, in via consequenziale, nella parte in cui non prevede che ai detenuti per gli altri delitti ivi contemplati, diversi da quelli appena indicati, possano essere concessi gli stessi permessi premio anche senza la collaborazione con la giustizia, allorché, in questo caso, “siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti”.
L’incostituzionalità, ossia, è stata estesa a tutti i reati compresi nel primo comma dell’articolo 4 bis, oltre a quelli di associazione mafiosa e di “contesto mafioso”, anche puniti con pena diversa dall’ergastolo (tra questi, i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, etc.).
Presunzione di pericolosità sociale relativa
I giudici costituzionali, nella decisione, spiegano che il detenuto per un reato di associazione mafiosa e/o di contesto mafioso può essere “premiato” se collabora con la giustizia ma non può essere “punito” ulteriormente, con il diniego dei benefici riconosciuti a tutti, se non collabora.
Per questo soggetto, la presunzione di pericolosità rimane ma non in maniera assoluta, in quanto può essere superata se il magistrato di sorveglianza acquisisca elementi tali da escludere che il detenuto abbia ancora collegamenti con l’associazione criminale o che vi sia il pericolo del ripristino di questi rapporti.
Non basta, così, un regolare comportamento carcerario o la mera partecipazione al percorso rieducativo e tantomeno una semplice dichiarazione di dissociazione: la presunzione di pericolosità relativa può essere superata solo qualora vi siano elementi capaci di dimostrare il venir meno del vincolo imposto dal sodalizio criminale.
- edotto.com – Punto & Lex del 24 ottobre 2019 - Ergastolo ostativo: intervento della Corte costituzionale – Pergolari
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