Ok al diritto di critica e di satira ma non è ammessa l’esagerazione
Pubblicato il 08 giugno 2018
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La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 14527 del 6 giugno 2018, ha sottolineato che l'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c., integrandosi detta norma con gli artt. 1175 e 1375 c.c. che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, sicché il lavoratore è tenuto ad astenersi da qualsiasi condotta che risulti in contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o crei situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.
Quando il diritto di critica sia esercitato attraverso la satira, la continenza non può non tener conto delle caratteristiche del genere che prevede l'utilizzo di un linguaggio colorito ed il ricorso ad immagini forti ed esagerate, con conseguente necessità di non compiere estrapolazioni dal contesto complessivo e di non conferire a certe espressioni il significato letterale che potrebbero avere nell'uso comune.
Anche il diritto di satira non si sottrae al limite della c.d. continenza formale (Cass. n. 14485/2000, Cass. n. 7091/2001), ossia non può essere sganciato da ogni limite di forma espositiva in quanto, in presenza di due interessi collidenti costituzionalmente tutelati, e cioè l'interesse della persona oggetto della satira e l'interesse contrapposto di chi ne sia l'autore, occorre trovare un punto di equilibrio che va individuato nel limite in cui il secondo interesse, e quindi anche il diritto di satira, non rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione e al decoro di chi ne è oggetto.
L'esistenza del pregiudizio, ossia l’esposizione della persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica, va verificata alla luce e nel contesto del linguaggio usato dalla satira, il quale, essendo inteso, con accento caricaturale, alla dissacrazione ed allo smascheramento di errori e vizi di uno o più persone, è essenzialmente simbolico e paradossale.
Per cui, in definitiva, con riferimento al licenziamento intimato a cinque dipendenti dello stabilimento Fca di Pomigliano d’Arco per aver realizzato un finto suicidio dell'amministratore delegato della società tramite impiccagione su un patibolo accerchiato da tute macchiate di rosso (a mo' di sangue) e del successivo funerale con contestuale affissione di un manifesto, a mo' di testamento, ove si attribuivano all'amministratore stesso le morti per suicidio di alcuni lavoratori e la deportazione di altri ad altro stabilimento, c’è stata sicuramento un’esagerazione.
La sentenza della Corte di Appello relativa al contenzioso nato per il licenziamento intimato ai dipendenti che avevano messo in atto la succitata rappresentazione è stata, quindi, cassata.
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