Non piace l’accordo di ristrutturazione
Pubblicato il 20 dicembre 2006
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A seguito della riforma della legge fallimentare è stato introdotto un nuovo istituto, quello relativo agli accordi di ristrutturazione dei debiti, con lo scopo di assicurare protezione e legittimazione giurisdizionale alla rimozione dello stato di insolvenza, eliminando il rischio revocatoria ai pagamenti posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato. Il tutto però disciplinato da un’unica disposizione di legge, l’articolo 182 bis della Legge fallimentare, la cui povera e incerta formulazione ha indotto finora gli imprenditori in difficoltà a rivolgersi ancora di più al tradizionale strumento del concordato preventivo. L’esordio del nuovo istituto è stato, dunque, caratterizzato da non poche difficoltà e i pochi provvedimenti giurisprudenziali (per lo più di rigetto) finora diffusi non hanno fatto altro che richiamare alcuni principi interpretativi generali:
- gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono un istituto autonomo e non una sorta di “piccolo concordato” con la conseguenza che ad essi non possono applicarsi le disposizioni di legge fallimentare dettate per il concordato preventivo;
- l’accordo è riservato agli imprenditori commerciali non esclusi dal fallimento o dall’amministrazione straordinaria;
- la percentuale del 60% dei crediti deve essere calcolata sull’intera massa debitoria, senza alcuna distinzione tra creditori privilegiati e creditori chirografari oppure tra creditori muniti di titolo esecutivo e creditori che ne siano sprovvisti;
- nell’articolo 182 si parla di regolare pagamento dei creditori estranei, ciò vuol dire che tutti i creditori che non aderiscono all’accordo devono essere soddisfatti integralmente secondo le modalità previste nel titolo costitutivo dell’obbligazione, oppure in mancanza, dalla legge.
Nonostante tali precisazioni, gli accordi di ristrutturazione hanno lasciato forti dubbi nei commentatori soprattutto in ordine alla loro efficacia rispetto agli obiettivi prefissati. Per tali ragioni, alcuni autori hanno ritenuto che l’unica possibilità di attribuire una valenza incisiva all’istituto fosse quella di considerare lo stesso non come una figura autonoma, ma piuttosto una sottospecie del concordato preventivo.
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