NASpI: quando è possibile il ripristino dell’indennità? La parola alla Cassazione
Pubblicato il 27 agosto 2025
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La durata contrattuale o la durata effettiva del nuovo rapporto di lavoro è decisiva per determinare la perdita del diritto alla NASpI?
Questo il tema di un’importante sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione, la numero 19638 del 16 luglio 2025, in cui gli Ermellini hanno fornito un parere fondamentale sull’applicazione dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. n. 22/2015 che regola il rapporto tra NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) e nuova occupazione.
In particolare, la Corte ha affrontato il delicato tema della decadenza o sospensione dell’indennità NASpI in caso di avvio di un nuovo contratto di lavoro subordinato a tempo determinato superiore a sei mesi, interrotto però anticipatamente per licenziamento durante il periodo di prova.
La risposta della Cassazione, che ha rigettato il ricorso dell’Inps, ha stabilito un importante principio di diritto a tutela del lavoratore, ribadendo che è l’effettiva durata del contratto a dover essere presa in considerazione, non quella formalmente pattuita.
Questo orientamento ha riflessi concreti per migliaia di lavoratori che, dopo aver perso un lavoro, si trovano in situazioni di precarietà e instabilità occupazionale: l’indennità NASpI, infatti, rappresenta un supporto fondamentale nei periodi di disoccupazione involontaria, e la sua gestione – soprattutto in presenza di rapporti di lavoro brevi o interrotti anticipatamente – richiede un’interpretazione coerente con i principi di tutela sociale e razionalità amministrativa.
Vediamo però nel dettaglio quanto stabilito dalla Cassazione.
Il tema della sentenza
La vicenda trae origine da un evento piuttosto comune nel mercato del lavoro attuale: un lavoratore, licenziato dal proprio impiego, aveva ottenuto il riconoscimento dell’indennità NASpI a partire dal 24 gennaio 2019 ma successivamente, l’8 aprile 2019, aveva accettato una nuova offerta di lavoro a tempo determinato, con durata inizialmente prevista di dodici mesi.
Tuttavia, il rapporto di lavoro non ha avuto l’esito sperato, e dopo soli cinque mesi il contratto è stato risolto anticipatamente per mancato superamento del periodo di prova, determinando di fatto un nuovo stato di disoccupazione involontaria per il lavoratore che ha presentato istanza all’Inps per ottenere il ripristino dell’indennità NASpI, interrotta in occasione della nuova assunzione.
L’Inps, però, ha respinto la richiesta, ritenendo che il semplice fatto di aver sottoscritto un contratto con durata prevista superiore ai sei mesi determinasse la decadenza automatica dal diritto alla prestazione, ai sensi dell’art. 9, comma 1, del D.lgs. 22/2015.
Secondo l’ente previdenziale, infatti, la decadenza operava ex ante, indipendentemente dalla durata effettiva del rapporto lavorativo.
Il lavoratore ha quindi intrapreso un ricorso giudiziario contro il provvedimento dell’Inps, ottenendo una pronuncia favorevole in primo grado confermata dalla Corte d’Appello di Genova e infine sancita anche dalla Corte di Cassazione, che ha rigettato in via definitiva il ricorso dell’ente nel luglio 2025.
Al centro della sentenza n. 19638/2025 della Corte di Cassazione si trova dunque un problema interpretativo di rilevanza fondamentale: come deve essere applicato l’art. 9 del D.lgs. 22/2015 nei casi in cui un lavoratore titolare di NASpI trovi una nuova occupazione che, sebbene prevista per oltre sei mesi, si interrompe prima della scadenza?
La risposta a questa domanda incide direttamente sul diritto o meno del lavoratore a continuare a percepire l’indennità NASpI, e quindi sulla sua tutela economica in fasi di transizione lavorativa.
Compatibilità della NASpI
L’articolo 9 del decreto legislativo 22/2015 disciplina la compatibilità della NASpI con un nuovo rapporto di lavoro subordinato: si tratta di una norma centrale per regolare i rapporti tra i percettori dell’indennità di disoccupazione e i nuovi eventuali impieghi, e prevede due casi distinti:
Comma 1 - Reddito superiore al minimo imponibile: "Il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale decade dalla prestazione, salvo il caso in cui la durata del rapporto di lavoro non sia superiore a sei mesi. In tale caso la prestazione è sospesa d’ufficio per la durata del rapporto di lavoro".
Questo significa che se un disoccupato trova un nuovo lavoro da cui ricava un reddito annuo superiore alla soglia di esenzione fiscale (circa 8.000 euro lordi annui) e la durata del contratto è superiore a sei mesi, allora perde il diritto alla NASpI (decadenza); ma se la durata è pari o inferiore a sei mesi, la NASpI non viene persa, ma sospesa automaticamente per il periodo lavorativo.
Comma 2 - Reddito inferiore al minimo imponibile: "Il lavoratore che durante il periodo in cui percepisce la NASpI instauri un rapporto di lavoro subordinato il cui reddito annuale sia inferiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale conserva il diritto alla prestazione, ridotta nei termini di cui all’articolo 10, a condizione che comunichi all’Inps entro 30 giorni l’inizio dell’attività e il reddito previsto".
In questo caso, ee il reddito derivante dal nuovo lavoro non supera la soglia fiscale, il lavoratore può mantenere la NASpI, ma in forma ridotta, ed è essenziale che il lavoratore comunichi all’Inps il reddito previsto e il nuovo impiego entro i termini.
Differenza tra sospensione e decadenza della NASpI
Un punto fondamentale della normativa è la distinzione tra sospensione e decadenza: mentre la sospensione è temporanea, e l’indennità NASpI si interrompe solo per il periodo in cui il lavoratore è occupato riprendendo automaticamente alla fine del contratto a termine stipulato per un massimo di sei mesi, la decadenza è invece definitiva e, una volta instaurato un contratto con durata superiore ai sei mesi e reddito annuo oltre soglia, la NASpI si considera persa, e il lavoratore deve presentare una nuova domanda in caso di futura disoccupazione.
L’interpretazione dell’Inps
Nel caso giudicato, l’Inps ha adottato un’interpretazione letterale e automatica del comma 1 dell’art. 9.
Secondo l’ente previdenziale infatti:
- la sola sottoscrizione di un contratto di lavoro a tempo determinato superiore ai sei mesi, e con retribuzione annua teoricamente superiore alla soglia minima, fa scattare automaticamente la decadenza dalla NASpI;
- secondo questa logica, non conta se il contratto venga poi interrotto prima dei sei mesi, ad esempio per licenziamento durante il periodo di prova;
- quello che conta, per l’Inps, è quanto era previsto inizialmente nel contratto, non cosa accade nella realtà.
Tale posizione, pur fondata su una lettura formalmente aderente al testo, trascura la ratio della norma: offrire una protezione reale e continuativa ai lavoratori che non raggiungono una stabilità economica e occupazionale duratura.
L’interpretazione della Corte
La Corte di Cassazione ha rigettato questa impostazione, accogliendo invece la lettura più sostanziale già affermata dalla Corte d’Appello di Genova. Il principio affermato è chiaro: conta la durata effettiva del rapporto di lavoro, non quella contrattualmente pattuita.
In concreto, dunque, se un contratto superiore a sei mesi si interrompe prima di tale soglia, non si verifica la decadenza dalla NASpI e, al contrario, la prestazione deve essere semplicemente sospesa, con diritto per il lavoratorea riattivarla alla cessazione del rapporto lavorativo.
Nel caso specifico, il lavoratore era stato assunto con contratto di dodici mesi, ma era stato licenziato dopo cinque mesi per mancato superamento del periodo di prova.
La Corte ha sottolineato che:
- il licenziamento in prova è un evento tipicamente imprevedibile e involontario;
- il rapporto di lavoro è effettivamente durato meno di sei mesi;
- di conseguenza, non si può parlare di decadenza, ma solo di sospensione temporanea, con diritto alla riattivazione automatica della NASpI.
Si tratta di un’interpretazione che si fonda anche sul principio di tassatività delle cause di decadenza nel diritto previdenziale: non è possibile estendere i casi di perdita del beneficio se non espressamente previsti dalla legge.
Come affermato nella sentenza, infatti, estendere il concetto di decadenza a situazioni non previste violerebbe la logica della tipicità e comprometterebbe la coerenza del sistema.
Nel motivare la sua decisione, la Corte di Cassazione ha approfondito il significato e la portata applicativa dell’art. 9 del D.lgs. 22/2015, sottolineando che il testo normativo non può essere interpretato infatti in modo meccanico o formalistico.
Al contrario, è necessario tenere conto della reale evoluzione del rapporto di lavoro e della ratio della normativa NASpI, fondata sulla protezione del lavoratore che si trova in una condizione di disoccupazione involontaria.
Uno dei punti cardine del ragionamento della Corte è stato il riconoscimento della centralità della durata effettiva del rapporto di lavoro, rispetto alla durata contrattualmente pattuita.
Secondo la Corte, il legislatore – nel prevedere all’art. 9, comma 1, la sospensione della NASpI per contratti di durata non superiore a sei mesi – ha voluto tutelare il lavoratore che, pur trovando temporaneamente una nuova occupazione, non riesce a consolidare una posizione stabile.
In questa prospettiva, ciò che rileva è il numero di mesi effettivamente lavorati, non la durata ipotetica indicata nel contratto.
Nel caso analizzato, il contratto a tempo determinato di dodici mesi si è interrotto dopo cinque mesi, per licenziamento durante il periodo di prova, evento che ha impedito al lavoratore di raggiungere una durata lavorativa superiore a sei mesi e motivo per cui – secondo la Corte – non può applicarsi la decadenza bensì la sospensione temporanea, con conseguente diritto al ripristino dell’indennità NASpI.
La Corte ha evidenziato che valorizzare il lavoro realmente svolto corrisponde sia alla logica del sistema di protezione sociale, sia alla necessità di evitare che il lavoratore venga penalizzato per una circostanza (il licenziamento anticipato) che non dipende dalla propria volontà.
Inoltre, la previsione normativa che consente la sospensione d’ufficio della prestazione NASpI per rapporti brevi (inferiori a sei mesi) conferma – secondo la Corte – che l’elemento temporale effettivo è determinante ai fini della tutela.
Principio di tipicità e tassatività
Come accennato, un altro aspetto fondamentale sottolineato dalla Corte è il principio di tipicità e tassatività in materia previdenziale, principio secondo cui le cause di decadenza o perdita del diritto a una prestazione devono essere espressamente previste dalla legge, senza possibilità di estensioni o interpretazioni analogiche da parte della pubblica amministrazione.
La Corte ha rifiutato con decisione dunque l’interpretazione proposta dall’Inps, secondo cui la sola stipula di un contratto superiore ai sei mesi basterebbe a far scattare la decadenza, anche qualora il lavoratore venga licenziato prima del termine.
Un simile approccio, affermano gli Ermellini, contrasta con la lettera della legge e con i principi generali dell’ordinamento in materia di prestazioni sociali.
In particolare, l’art. 11 del medesimo decreto legislativo stabilisce espressamente i casi in cui si perde lo stato di disoccupazione. Estendere tali casi sulla base di elementi presuntivi o formali (come la durata iniziale prevista del contratto) significherebbe andare oltre i limiti legali, ponendo un onere sproporzionato e non giustificato sul lavoratore.
La Corte ha infine ricordato che, in ambito previdenziale, le prestazioni sono sottoposte a limiti ben precisi e giuridicamente vincolanti, sia per tutelare la sostenibilità del sistema, sia per evitare arbitrarietà da parte degli enti gestori: questo vincolo impedisce all’Inps di modificare o integrare unilateralmente le condizioni di accesso o decadenza dalla prestazione.
Riassumendo
|
Fattispecie |
Interpretazione Inps |
Interpretazione Corte di Cassazione |
|---|---|---|
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Durata del nuovo contratto |
Conta la durata contrattuale iniziale prevista (es. > 6 mesi) |
Conta la durata effettiva del rapporto di lavoro (es. se termina prima di 6 mesi, si applica la sospensione) |
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Reddito annuo previsto |
Se superiore alla soglia di esenzione fiscale, comporta decadenza indipendentemente dalla durata effettiva |
È rilevante solo se il rapporto supera effettivamente i 6 mesi. Se inferiore, la NASpI è sospesa, non persa |
|
Esito del rapporto di lavoro |
Irrilevante: anche in caso di licenziamento anticipato o in prova, si considera il contratto stipulato |
Determinante: se il lavoratore è licenziato prima dei 6 mesi, non decade dalla NASpI, anche se il contratto iniziale prevedeva durata maggiore |
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Effetti sul diritto alla NASpI |
Decadenza automatica dalla prestazione al momento della sottoscrizione del contratto superiore a 6 mesi |
Sospensione temporanea della NASpI durante il periodo lavorato, con successivo ripristino automatico se il lavoro termina entro 6 mesi |
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Principio giuridico applicato |
Lettura formalistica della norma |
Lettura sostanziale, conforme ai principi di tutela e tassatività delle cause di decadenza |
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Conseguenze per il lavoratore |
Perde il diritto alla NASpI e deve presentare nuova domanda se resta disoccupato |
Mantiene il diritto, senza necessità di nuova domanda, se rientra nei limiti di durata previsti dalla legge |
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Giudizio della Cassazione |
Posizione errata e non conforme alla ratio della legge |
Posizione corretta, rispettosa della finalità sociale della NASpI e dei diritti del lavoratore |
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