Malformazioni del feto. Perdita di chance per la madre non informata

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Malformazioni del feto. Perdita di chance per la madre non informata

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha riconosciuto il diritto al risarcimento per perdita di chance, in favore di una donna che, a causa di un errore diagnostico dei medici – i quali non avevano saputo individuare le malformazioni del feto al momento dell’ecografia – non era stata messa in condizione di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.

La Corte d’Appello, in un primo momento, non aveva riconosciuto alla madre siffatta voce di danno, ritenendo che le malformazioni del figlio, non apparissero di tale gravità da far ritenere automaticamente sussistenti i requisiti imprescindibili per dar luogo all’interruzione di gravidanza dopo il terzo mese. Né, dalla prove acquisite, poteva dedursi con sufficiente certezza che la donna, se debitamente informata, avrebbe optato per l’aborto.

Non della stessa opinione la Corte di Cassazione, la quale, in via generale, rammenta che in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza, ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale. Quest’onere, tuttavia, può essere assolto con presunzioni, in base, ad esempio, ad interferenze desumibili dagli elementi in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, alle precarie condizioni psico fisiche della gestante o alle sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva; gravando sul medico la prova contraria che la donna non si sarebbe determinata all’aborto.

Ragionamento presuntivo, non richiede che le malformazioni siano gravi

Orbene nel caso di specie, conclude la Corte Suprema, i Giudici d’appello non avrebbero fatto corretta applicazione di tali principi, laddove hanno ritenuto di poter escludere il ragionamento presuntivo, per fondare invece la prova in questione sull’esclusivo rilievo che le malformazioni del nascituro non fossero poi così gravi da incidere sull’espletamento delle attività fisiche e soprattutto psichiche.

Spiegano viceversa gli Ermellini – con sentenza n. 25849 del 31 ottobre 2017 – che per procedere mediante presunzioni, non si richiede che ci si trovi dinanzi a patologie gravi del nato, né tanto meno che queste affliggano le sue capacità intellettive.

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