Licenziamento per superamento del periodo di comporto. E' il lavoratore che deve tenere il conto dei giorni di assenza

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Con la sentenza n. 19234 del 2011, la Corte di cassazione ha confermato la decisione con cui i giudici di gravame avevano ritenuto efficace il licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente il quale aveva superato il periodo di comporto di 240 giorni a seguito di malattia.

In particolare, il lavoratore aveva chiesto che gli venisse concessa una sospensione più lunga (di 300 giorni) in considerazione del fatto che la malattia era la stessa nell'arco solare dell'anno, così come previsto dal contratto collettivo. Tuttavia, lo stesso non aveva inviato alcuna certificazione a suffragio della domanda anche se, per questo incombente, era stato sollecitato più volte dallo stesso datore.

Secondo il lavoratore, comunque, l'azienda non si era comportata correttamente in quanto, consapevole del protrarsi della malattia, avrebbe dovuto avvertire dell'imminente scadenza del comporto.

Diversa l'interpretazione fornita dalla Suprema corte, secondo cui spetta al lavoratore in malattia tenere il conto dei giorni di assenza mentre non è compito del datore avvertirlo che il periodo di conservazione del posto è in scadenza.
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