Licenziamento per motivo oggettivo giustificato da incremento di redditività
Pubblicato il 27 maggio 2022
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L’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce presupposto fattuale che il datore di lavoro deve necessariamente provare affinché il licenziamento per motivo oggettivo possa ritenersi giustificato.
Basta, invece, che le ragioni che riguardano l'attività produttiva, il suo regolare funzionamento e l'organizzazione del lavoro, incluse quelle finalizzate a una migliore efficienza gestionale ovvero a un aumento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa.
Crisi aziendale e di fatturato: sì al licenziamento del lavoratore in esubero
E' il principio richiamato dalla Corte di cassazione, Sezione Lavoro, nel testo dell'ordinanza n. 17173 del 26 maggio 2022, pronunciata in rigetto del ricorso promosso da un lavoratore, oppostosi alla decisione confermativa del provvedimento di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto nei suoi confronti dalla Srl presso cui lavorava.
Il motivo del recesso era il riscontrato esubero di maestranze nel settore dell'attività lavorativa del dipendente, causato dalla sopravvenuta flessione di mercato e dalla perdita di fatturato e clienti.
L'effettiva sussistenza della crisi aziendale, del calo di fatturato e della riduzione di uno specifico reparto aziendale erano circostanze che erano state riscontrate in corso di causa, attraverso l'espletamento di una CTU sui libri contabili prodotti dalla società datrice di lavoro.
Era stato inoltre accertato, dai giudici di merito, il rispetto dei criteri di buona fede e correttezza per la scelta dei lavoratori da licenziare, attesa la minore anzianità di servizio del ricorrente rispetto ai suoi colleghi, i quali avevano, peraltro, maggiori carichi di famiglia.
Il prestatore si era tuttavia rivolto alla Suprema corte per lamentare violazione e falsa applicazione di legge: secondo la sua difesa, la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che il licenziamento fosse stato determinato dal fallimento dell'impresa e non dall'intento di migliorare la redditività.
Doglianza, questa, ritenuta non solo inammissibile per carenza di specificità delle censure ma anche non pertinente.
Legittimo il licenziamento finalizzato al miglioramento del profitto
Gli Ermellini, sul punto, dopo aver rimarcato che la Corte di gravame, nella specie, aveva accertato la sussistenza di una crisi aziendale e non il mero perseguimento di un profitto, hanno in ogni caso rammentato l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e dall’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa".
Il ricorso del lavoratore, in definitiva, è stato giudicato inammissibile.
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