Licenziamento per insubordinazione: illegittimo con fatto non grave

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Licenziamento per insubordinazione: illegittimo con fatto non grave

E' stata confermata, dalla Suprema corte, la decisione della Corte d'appello di annullamento del licenziamento per giusta causa che una Residenza Sanitaria Assistenziale aveva irrogato a una lavoratrice in ragione di ripetuti episodi di insubordinazione, ritenuti di particolare gravità, posti in essere nei confronti dei superiori gerarchici.

Mentre, in primo grado, il licenziamento senza preavviso era stato ritenuto legittimo, la Corte territoriale, in sede di appello, aveva annullato il recesso e condannato la società datrice di lavoro alla reintegrazione del dipendente nonché al pagamento di una indennità risarcitoria.

Alla base della decisione, il rilievo secondo cui il comportamento della lavoratrice rientrava tra gli illeciti per i quali la contrattazione collettiva applicabile prevedeva sanzioni esclusivamente conservative (insubordinazione non connotata da particolare gravità).

Ne era conseguita l'applicazione della tutela di cui all’art. 18, comma 4 dello Statuto dei lavoratori.

Secondo l'azienda, per contro, era erroneo considerare il fatto come non grave e tale, quindi, da non giustificare il licenziamento della dipendente.

Per questo motivo si era rivolta alla Corte di cassazione, denunciando, tra i motivi, violazione e falsa applicazione del menzionato 18, anche con riferimento all’art. 38 del CCNL per il personale dipendente delle RSA concretamente applicabile.

Licenziamento disciplinare illegittimo, tutela applicabile 

Doglianza, questa, che secondo il Collegio di legittimità - pronunciatosi, nella vicenda in esame, con sentenza n. 10435 del 19 aprile 2023 - presentava sia profili di infondatezza che di inammissibilità.

Il motivo era infatti infondato in quanto la Corte d'appello aveva svolto la propria analisi in modo conforme ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di licenziamento disciplinare.

Al fine di selezionare la tutela applicabile -  ha ricordato la Cassazione - il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l'illecito con sanzione conservativa, "né detta operazione di interpretazione e sussunzione trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, restando nei limiti dell'attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo".

Lo stesso motivo era anche inammissibile, quanto alle doglianze circa la ritenuta non gravità della condotta: la valutazione di quest'ultima costituisce espressione di un accertamento di fatto che, se argomentato con motivazione esente dai vizi è, in quanto tale, insindacabile in cassazione.

E tale era la valutazione operata dai giudici di gravame, i quali avevano tenuto conto di ogni aspetto concreto della vicenda, evidenziando che si era trattato di un comportamento rimasto a livello verbale nell’ambito di uno scambio di vedute contrapposte tra un operatore ed il suo coordinatore.

La condotta - era stato altresì evidenziato - oltre a non essere connotata da violenza, né fisica né verbale, non aveva determinato ripercussioni specifiche e significative a livello aziendale né era emerso alcun pericolo o danno per utenti e/o colleghi e/o per il patrimonio aziendale.

Si trattava, in definitiva, di una valutazione esente da vizi logici o contraddittori che, come tale, non risultava censurabile né in punto di diritto né di fatto.

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