Licenziamento nel verbale di conciliazione: legittimità
Pubblicato il 23 aprile 2024
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Il verbale di conciliazione, redatto in seguito a un tentativo di conciliazione fallito, può essere legalmente valido per il licenziamento se rispetta determinati requisiti di forma scritta.
La sua validità è confermata quando entrambe le parti appongono la firma, attestando così l'accordo sulle circostanze e le motivazioni del licenziamento.
E' ossia corretto ritenere che il requisito della forma scritta del licenziamento è rispettato in caso di verbalizzazione della volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto dopo il fallimento della conciliazione, con verbale sottoscritto da entrambe le parti.
Licenziamento nel verbale di conciliazione: la decisione della Cassazione
Lo ha evidenziato la Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 10734 del 22 aprile 2024, nel pronunciarsi nell'ambito di una causa avente ad oggetto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una dipendente, preceduto da tentativo di conciliazione fallito.
Il caso esaminato: licenziamento dopo conciliazione fallita
Nel caso analizzato, il datore di lavoro aveva manifestato l'intenzione di licenziare la lavoratrice durante l'incontro con la commissione di conciliazione, dopo un infruttuoso tentativo di risoluzione del conflitto.
La volontà era stata riportata a verbale, poi sottoscritto da entrambe le parti.
Secondo la Corte d'appello, l’espressione della volontà di recedere dal rapporto travasata in un verbale scritto e firmato da entrambe le parti soddisfaceva le funzioni connesse al requisito di forma, prescritto dalla legge.
La chiarezza nella comunicazione del licenziamento, del resto, non è solo una formalità legale, ma una necessità per assicurare la correttezza procedurale e la trasparenza nelle relazioni lavorative.
Il requisito della forma scritta del licenziamento
La funzione stessa dell’onere della forma scritta, correttamente individuata nella necessità di mettere a conoscenza il lavoratore del recesso e anche di richiamare l’attenzione del soggetto dichiarante sull’importanza e la delicatezza della manifestazione di volontà contenuta nella dichiarazione medesima, induceva a ritenere che, nel caso in esame, il requisito della forma fosse stato rispettato.
E difatti, il datore di lavoro, a seguito dell’esito negativo della procedura conciliativa prescritta dall’art. 7 della Legge n. 604/1966, aveva formalizzato la propria volontà di recesso unilaterale dal rapporto.
Tale volontà era stata formalizzata:
- in una sede istituzionale;
- alla presenza dei propri rappresentanti, oltre che di un soggetto terzo (il presidente della commissione);
- nell’ambito di un verbale sottoscritto da entrambe le parti.
La lavoratrice, dunque, era pienamente consapevole della predetta volontà di recesso, al punto che aveva avanzato, già in sede conciliativa, una generica contestazione.
Dallo stesso verbale di conciliazione, del resto, poteva evincersi che la questione era stata oggetto di discussione e, a seguito di tale discussione - dunque dopo l’espletamento del tentativo di conciliazione - il datore di lavoro aveva contestato e confermato la propria volontà di licenziamento.
In ogni caso, andava considerato che la normativa di riferimento non richiede un certo intervallo temporale tra la chiusura del tentativo di conciliazione e la comunicazione del licenziamento.
Tenuto conto, tuttavia, della violazione, da parte del datore, dei principi di buona fede e correttezza nella selezione del personale da licenziare, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo era stato considerato illegittimo, ma non inefficace.
Di conseguenza, alla lavoratrice era stata concessa una tutela risarcitoria, con il diritto di ricevere un'indennità pari a 18 mensilità.
Cassazione: comunicazione del licenziamento anche nello stesso verbale
La tesi della Corte d'appello è stata condivisa dalla Sezione lavoro della Cassazione.
Sulla tematica, la Sezione lavoro della Corte di cassazione ha evidenziato che:
- l'interpretazione letterale della norma suggerisce che il legislatore, modificando l'articolo 7 della Legge n. 604/1966, ha dato importanza al risultato concreto del mancato accordo nel tentativo di conciliazione piuttosto che agli aspetti formali e temporali legati alla conclusione del "verbale stilato dalla commissione provinciale di conciliazione";
- il contenuto stesso del testo normativo non richiede che la comunicazione del licenziamento, permessa al datore di lavoro dopo un fallito tentativo di conciliazione, avvenga in una situazione diversa e successiva rispetto a quella del verbale già menzionato.
Nel caso analizzato, la Corte di merito aveva confermato che la decisione del datore di lavoro di procedere al licenziamento era stata chiaramente espressa davanti alla commissione competente e formalmente documentata nel verbale, dopo che il tentativo di conciliazione era fallito.
La conclusione contenuta nella decisione di appello era pertanto corretta e incensurabile in sede di legittimità.
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