Licenziamento del dipendente che minaccia datore e colleghi in chat
Pubblicato il 04 maggio 2023
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Sì al licenziamento per giusta causa del lavoratore che, dopo aver minacciato e diffamato il datore sul gruppo whatsapp dei dipendenti, si presenti in azienda in stato di alterazione, creando agitazione tra i colleghi.
Con sentenza n. 11344 del 2 maggio 2023, la Corte di cassazione ha confermato il recesso senza preavviso comminato al dipendente di un'azienda per aver assunto atteggiamenti minacciosi ed intimidatori nei confronti della datrice di lavoro e dei colleghi.
Minacce e ingiurie via whatsapp: licenziato per giusta causa
La Corte d'appello, in particolare, aveva ritenuto che la contestazione disciplinare mossa dalla datrice di lavoro avesse i necessari requisiti di specificità e che le prove raccolte dimostrassero la sussistenza degli addebiti, idonei ad integrare la giusta causa di recesso.
Al lavoratore, in particolare, era stato contestato di aver inviato, sulla chat dei dipendenti, messaggi minacciosi e diffamatori contro la società nonché di essersi presentato in azienda in stato di alterazione, entrando nei reparti produttivi, senza indossare i dispositivi di protezione e il vestiario richiesto ai fini di sicurezza e igiene.
La sua condotta, caratterizzata da un atteggiamento minaccioso, aggressivo e provocatorio, aveva creato agitazione tra i colleghi, tanto da rendere necessario l’intervento dei carabinieri visto che si era anche rifiutato di lasciare i locali aziendali.
Non solo. Una volta allontanato, il prestatore aveva continuato a inviare minacce e ingiurie nei confronti del legale rappresentante della società, rappresentando sabotaggi e danneggiamenti all’azienda.
Senza contare che, anche nei giorni precedenti, aveva rivolto intimidazioni ai colleghi e tenuto condotte di insubordinazione verso i superiori gerarchici.
Il lavoratore si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, la genericità della contestazione, asseritamente priva di precise indicazioni circa la collocazione temporale dei fatti contestati, l’esatto contenuto dei messaggi inviati e l'identificazione dei superiori gerarchici e dei colleghi di lavoro offesi.
Contestazione disciplinare specifica, recesso da confermare
Doglianza, questa, che non ha trovato accoglimento davanti alla Suprema corte, la quale, dopo aver richiamato gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità in materia di specificità della contestazione disciplinare, ha confermato la correttezza delle valutazioni operate dalla Corte territoriale.
Quest'ultima, infatti, aveva fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla Cassazione, avendo giudicato sufficientemente circostanziati gli episodi contestati e ritenuto esistenti gli essenziali requisiti richiesti dalla elaborazione giurisprudenziale.
Difatti, erano state fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro aveva ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri scaturenti dal rapporto di lavoro.
Per la Cassazione, in definitiva, la motivazione resa dai giudici di appello era esente dai vizi lamentati e meritava di essere confermata.
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