Licenziamento disciplinare e misure anti-COVID: decisioni della Cassazione

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Licenziamento disciplinare e misure anti-COVID: decisioni della Cassazione

Legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che non si presenta al lavoro adducendo la mancata adozione di adeguate misure anti-COVID, risultate invece presenti, senza preannunciare l'assenza come conseguenza degli asseriti inadempimenti del datore di lavoro.

Diversamente, è stato dichiarato illegittimo il licenziamento di un altro dipendente per aver indossato non correttamente la mascherina anti-COVID e aver rimproverato una collega che aveva segnalato la violazione.

Con due sentenze depositate il 22 ottobre 2024, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha affrontato due casi riguardanti licenziamenti disciplinari avvenuti durante l'emergenza pandemica da COVID-19.

Assenza per asserita mancanza di misure anti covid

Nel primo caso, oggetto della sentenza n. 27357/2024, il licenziamento è stato irrogato per assenza ingiustificata dal lavoro.

Il dipendente ha impugnato il licenziamento, sostenendo che l’assenza fosse giustificata dalla mancata adozione di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro per prevenire il contagio da COVID-19. In particolare, lamentava l’assenza di protocolli adeguati per la protezione della salute sul luogo di lavoro.

Sia in primo grado che in appello, i giudici hanno rigettato le doglianze del lavoratore, ritenendo che il datore di lavoro avesse adottato tutte le misure previste, tra cui l'acquisto dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e l’attuazione delle procedure di sanificazione. È stato inoltre evidenziato che l’assenza del lavoratore non era stata preannunciata come conseguenza degli asseriti inadempimenti, impedendo di considerarla come una legittima azione di autotutela.

Il dipendente ha presentato ricorso in Cassazione, invocando la violazione di varie disposizioni di legge, tra cui l'art. 2087 del Codice civile, relativo alla tutela della salute, e l'art. 1460 c.c., riguardante l'eccezione di inadempimento.

La decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile e motivando tale decisione mediante tre punti chiave.

Verifica delle misure di sicurezza adottate

In primo luogo, la Corte ha ritenuto infondate le contestazioni avanzate dal ricorrente. Il dipendente, come visto, aveva accusato il datore di lavoro di non aver adottato le misure necessarie per garantire la sicurezza sul luogo di lavoro durante la pandemia da COVID-19.

Tuttavia, la Corte ha accertato che tali affermazioni non erano state provate e, al contrario, era emerso che il datore di lavoro aveva effettivamente implementato tutte le misure di protezione richieste, come l'acquisto dei dispositivi di protezione individuale (DPI) e l' applicazione delle procedure di sanificazione.

Assenza non preannunciata

In secondo luogo, la Corte ha evidenziato l'assenza di una correlazione tra il presunto inadempimento da parte del datore di lavoro e l'assenza del lavoratore.

Il dipendente non aveva preannunciato l'assenza come collegata alle mancate misure di sicurezza, e ciò contraddice il principio di buona fede che deve accompagnare l'eccezione di autotutela.

Ne discendeva che l'assenza non poteva essere giustificata come misura di autotutela, come previsto dall'art. 44 del Decreto Legislativo n. 81 del 2008, poiché mancava un nesso evidente tra l'assenza del dipendente e la presunta violazione delle misure di sicurezza.

Esame dei motivi di diritto

Infine, il ricorso è stato giudicato inammissibile per mancanza di elementi di diritto.

La Corte ha sottolineato che il ricorrente non aveva evidenziato una reale violazione delle norme giuridiche, ma aveva piuttosto contestato una diversa interpretazione dei fatti già valutati nei precedenti gradi di giudizio.

La Cassazione, in tale contesto, ha richiamato il principio della "doppia conforme", secondo cui, in presenza di sentenze concordanti sia in primo grado sia in appello, non è possibile un ulteriore riesame dei fatti.

Le conclusioni della Suprema corte

La Suprema corte, in definitiva, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese legali e ha ordinato il raddoppio del contributo unificato.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del Caso Questione Dibattuta Soluzione della Corte di Cassazione
Un lavoratore impugna il licenziamento disciplinare per assenza ingiustificata, sostenendo che l'assenza era dovuta alla mancata adozione di misure di sicurezza anti-COVID da parte del datore di lavoro. Se il licenziamento per assenza ingiustificata fosse legittimo, considerando che il lavoratore giustificava la sua assenza con l’assenza di misure di sicurezza per prevenire il contagio da COVID-19. La Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendolo inammissibile, poiché il datore di lavoro aveva adottato le misure di sicurezza richieste e l’assenza del lavoratore non era correlata agli inadempimenti denunciati.

Mascherina indossata non correttamente? Licenziamento sproporzionato

Un diverso esito ha avuto la vicenda oggetto della sentenza n. 27335/2024, riguardante il licenziamento di un dipendente accusato di aver indossato in modo scorretto la mascherina anti-COVID, nonostante fosse stato ammonito, e di aver intimidito un collega che aveva segnalato la violazione.

Il Tribunale di primo grado aveva dichiarato il licenziamento illegittimo, escludendo ogni carattere discriminatorio o ritorsivo dello stesso.

Successivamente, la Corte d'appello ha confermato tale decisione, ritenendo di lieve gravità il primo episodio (uso scorretto della mascherina) e irrilevante, sotto il profilo disciplinare, il secondo episodio (rimprovero alla collega) contestato al dipendente.

La Corte d'appello ha valutato che i comportamenti del lavoratore non rientrassero nelle ipotesi contemplate dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) per il licenziamento. In particolare, non si configuravano né come insubordinazione, né come atti dolosi o colposi gravi che avrebbero causato danni all'azienda, né come grave offesa a un collega, tutti motivi che avrebbero giustificato il licenziamento.

La società datrice di lavoro ha quindi promosso ricorso alla Corte di Cassazione, sostenendo che la Corte d'appello non aveva adeguato il concetto di "giusta causa" di cui all'art. 2119 cc alle circostanze straordinarie della pandemia da COVID-19. Secondo la difesa della società, la violazione delle misure anti-contagio avrebbe dovuto essere valutata con maggiore severità, date le condizioni emergenziali.

La decisione della Cassazione

La Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le doglianze della società.

Secondo la Suprema Corte, la Corte d'appello aveva tenuto adeguatamente conto del contesto emergenziale legato alla pandemia, ma ciò non conferiva automaticamente una gravità tale da giustificare il licenziamento. La violazione delle misure anti-COVID non era stata considerata, né dal punto di vista oggettivo né soggettivo, così grave da costituire giusta causa di licenziamento.

La Cassazione ha quindi confermato la decisione della Corte d'appello, che aveva valutato la condotta del dipendente come non particolarmente lesiva, tenendo conto della sua natura fortuita, della brevità dell'episodio e della mancanza di un effettivo danno ai beni protetti.

Pertanto, la sentenza d'appello è stata ritenuta conforme agli standard giuridici e sociali, e il ricorso della società datrice di lavoro è stato rigettato.

Tabella di sintesi della decisione

Sintesi del Caso Questione Dibattuta Soluzione della Corte di Cassazione
Un dipendente è stato licenziato per aver indossato in modo scorretto la mascherina anti-COVID e per aver rimproverato una collega in modo intimidatorio. Il Tribunale e la Corte d'appello hanno dichiarato il licenziamento illegittimo, valutando i comportamenti come di lieve entità disciplinare. Se, nel contesto emergenziale legato alla pandemia, i comportamenti del dipendente potessero giustificare un licenziamento per giusta causa, considerando la violazione delle misure di prevenzione anti-COVID. La Cassazione ha respinto il ricorso della società, confermando che la violazione delle misure anti-COVID, nel caso specifico, non era sufficientemente grave da giustificare il licenziamento. La Corte ha confermato la decisione di appello, ritenendo i comportamenti del dipendente non lesivi in modo significativo.
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