Libro unico del lavoro: nuovo regime sanzionatorio

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Libro unico del lavoro: nuovo regime sanzionatorio

Il Jobs Act “seconda parte” è intervenuto anche a modificare gli importi sanzionatori in caso di mancata o irregolare tenuta del Libro unico del lavoro, che dal 01/01/2017 sarà conservato in modalità telematica presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

Prima del D.lgs. n. 151/15, la materia era avvolta da una fitta nebbia che rendeva non agevole l’operatività tanto dei soggetti tenuti a effettuare le scritturazioni sul LUL, quanto di coloro che dovevano verificare la correttezza delle relative registrazioni.

Le difficoltà applicative traggono origine dall’art. 39, comma 7 del D.L. n. 112/08 conv. con mod. in Legge n. 133/08 che, pur prevedendo un uguale trattamento sanzionatorio articolato in base al numero dei lavoratori coinvolti nella violazione, distingue l’illecito dell’omessa scritturazione da quello di infedele registrazione. La distinzione rileverebbe ai fini dell’adozione del provvedimento di diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04, quest’ultimo applicabile per la registrazione omessa ma non per quella infedele.

Le registrazioni infedeli: una difficile esistenza

Con circolare n. 20 del 2008, poi con vademecum sul LUL del 05/12/2008, il Ministero del Lavoro ebbe a chiarire che l’illecito dell’infedele registrazione, differentemente dall’omessa scritturazione, sarebbe di tipo commissivo, perché si baserebbe sul concetto di gravità della condotta.

Secondo tale prospettiva, il carattere gravemente non veritiero del dato inserito, rispetto all’effettiva consistenza della prestazione di lavoro, con riguardo ai profili retributivi, previdenziali e fiscali, denoterebbe un intento doloso del datore di lavoro al quale, pertanto, andrebbe applicata la sanzione, senza possibilità di adozione della misura premiale della diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124/04.

L’indirizzo interpretativo non convinceva appieno, se non altro perché la distinzione tra l’omessa e l’infedele registrazione veniva fatta dipendere da un concetto, come quello della gravità della condotta, la cui natura estremamente soggettiva correva il rischio di generare trattamenti disomogenei da parte del personale ispettivo.

Altro aspetto criticabile era poi rappresentato dall’esclusione per l’illecito dell’infedele registrazione della procedura della diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., atteso che quest’ultima misura risulta azionabile in ragione dell’eventuale sanabilità o meno della violazione commessa, indipendentemente dalla gravità della condotta.

La “materiale sanabilità” dell’illecito come condizione per l’adozione della diffida

Sul meccanismo della diffida è intervenuto l’art. 33, comma 2 della L. n. 183/10 (c.d. collegato lavoro), il quale ha stabilito che gli illeciti che risultino “materialmente sanabili” debbono essere sempre sottoposti alla procedura della diffida. Quest’ultima ha assunto così una connotazione tipicamente deflattiva, avente cioè l’esigenza di contenere al massimo il contenzioso, premiando al contempo la collaborazione del trasgressore ovvero dell’obbligato solidale nel momento in cui decidano di eseguire quanto contenuto nell’atto di diffida.

La condizione per accedere a tale procedura è divenuta, pertanto, la “materiale sanabilità” della violazione commessa. Sul nuovo assetto normativo si è espresso il Ministero del Lavoro con circolare n. 23/2011, ritenendo che la diffida si correla a “[…] tutti gli adempimenti di carattere documentale che non attengono esclusivamente a una tutela psicofisica del lavoratore”.

Ebbene, se si assume che l’infedele scritturazione dei dati del LUL abbia natura tipicamente documentale, allora non pare dubitabile che anche quest’ultimo illecito possa beneficiare della misura premiale della diffida, a prescindere dall’eventuale animus nocendi dell’autore della violazione.

Sennonché, il carattere lineare di tale soluzione è stato alterato dalla stessa circolare ministeriale n. 23 cit. che, per un verso ha ritenuto applicabile la diffida per l’ipotesi di infedele registrazione, stante la materiale sanabilità di tale violazione, per altro verso invece ha ribadito l’esclusione di tale misura deflattiva qualora venga accertato il dolo del datore di lavoro nella commissione dell’illecito.

La risposta a interpello n. 47 del 2011

I nodi correlati a tale distinguo erano destinati ad aumentare, poiché il Ministero del Lavoro, con risposta a interpello n. 47 del 2011, ha ritenuto che l’infedele registrazione postula una verifica rivolta a saggiare non tanto se i criteri astrattamente previsti dalla contrattazione collettiva per la disciplina del rapporto di lavoro siano o meno stati osservati dal datore di lavoro, ma piuttosto se vi sia o meno corrispondenza tra quanto registrato nel LUL e la concreta condotta tenuta dalle parti in esecuzione della prestazione lavorativa.

La conseguenza di un tale assunto sarebbe quella per cui le violazioni alle disposizioni contrattuali che disciplinano il rapporto di lavoro non realizzerebbero l’infedele registrazione qualora nel LUL vangano registrati dati conformi all’illecito commesso. Esemplificando: la riqualificazione di un rapporto di lavoro (da co.co.co. a lavoro subordinato), sebbene sottenda disvalori contributivi e retributivi e fiscali, non avrebbe riflessi sanzionatori sul LUL ove il rapporto di lavoro venga scritturato su tale documento per come è stato concretamente trattato dal datore di lavoro.

Tale prospettazione, a giudizio degli scriventi, sembra tradire il principio di effettività e contraddire la premessa che vorrebbe collegare la reazione punitiva alle ipotesi “di sostanziale e reale incidenza della condotta illecita sui profili di tutela dei lavoratori”.

Se tale indirizzo non è condivisibile lo è ancor meno quello testé descritto, che basa la distinzione tra l’infedele e l’omessa scritturazione sull’accertamento del dolo nella condotta tenuta dal datore di lavoro.

Il dolo non rileva negli illeciti amministrativi

In caso di illecito amministrativo, così come per le contravvenzioni, la differenziazione in ordine al criterio di imputazione soggettivo dell’illecito sfuma, anzi, si potrebbe dire che è irrilevante, perché ai fini della colpevolezza risulta sufficiente riscontrare la semplice colpa. In altri termini, in tema di sanzioni amministrative è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e la volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa.

Sul punto vale, infatti, richiamare la recente giurisprudenza delle SS.UU. che negli illeciti di mera trasgressione, come sono per l’appunto quelli di natura amministrativa, considera “[…] impossibile individuare, sul piano funzionale, un’intenzione o una negligenza nell’azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell’atteggiamento interiore: l’azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la c.d. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa” (Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 30-09-2009, n. 20933).

Il D.lgs. n. 151/15: un’occasione mancata?

Alla luce di tali osservazioni si ritiene corretto, indipendentemente dall’animus del trasgressore, applicare la diffida ex art. 13 D.lgs. n. 124 cit., tanto per la violazione dell’omessa scritturazione, quanto per quella concernente l’infedele registrazione dei detti, atteso che entrambe configurano illeciti materialmente sanabili.

Tale soluzione avrebbe suggerito di sopprimere gli illeciti de quibus e di configurare piuttosto un unico illecito, comunque diffidabile, e integrabile ogni volta che i dati scritturati o non scritturati nel LUL avessero sotteso disvalori retributivi previdenziali e fiscali.

Non pare che tale indirizzo sia stato seguito dal Legislatore della riforma che, ancora una volta, torna a insistere sulla distinzione tra omessa scritturazione e infedele registrazione, fornendo per le rispettive fattispecie apposite definizioni e giustificando in tal modo l’indirizzo che vorrebbe non applicabile la diffida per l’illecito dell’infedele registrazione.

L’art. 22, comma 5 del D.lgs. n. 151 cit. stabilisce che “la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati di cui ai commi 1 e 2, diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate l’omessa registrazione”.

Nell’intenzione del Legislatore i concetti di “qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa” valorizzerebbero un’analisi centrata sulla sostanziale incidenza della condotta illecita rispetto ai profili di tutela dei lavoratori, al cui presidio è infatti posto l’illecito previsto dal comma 7 dell’art. 39 D.L. n. 112 cit..

A fronte di tale specificazione normativa, il Ministero del Lavoro con circolare n. 26 del 2015 non si discosta dal pregresso indirizzo e ribadisce che l’errata qualificazione del rapporto di lavoro non comporta disvalori retributivi, contributivi e fiscali e pertanto non è meritevole di sanzione. Un indirizzo che desta non poche perplessità perché un rapporto che si è svolto in concreto in maniera non conforme alle previsioni normative e contrattuali sottende senz’altro una dissimulazione della prestazione di lavoro che invero viene realizzata con canoni qualitativamente diversi rispetto a quelli dovuti.

La novella “chiarificatrice” modifica i criteri per la determinazione degli importi sanzionatori, giacché sono stati riparametrati gli indici numerici dei lavoratori coinvolti ed è stato inserito anche il dato temporale come criterio di predeterminazione della sanzione. Viene altresì aggiunta un nuova sanzione qualora il dato temporale ovvero i lavoratori coinvolti siano di significativa entità.

In base al nuovo regime, la sanzione amministrativa per l’omessa o infedele registrazione va:

  1. da €. 150 a €. 1.500 qualora i lavoratori coinvolti siano meno di cinque;

  2. da €. 500 a €. 3.000 ove l’illecito riguardi più di cinque lavoratori ovvero attenga a un periodo superiore a 6 mesi;

  3. da €.1.000 a € 6.000 ove l’illecito si riferisca a più di dieci lavoratori ovvero riguarda un periodo superiore a 12 mesi.

La locuzione “ovvero” porta a ritenere che le ipotesi di cui ai nn. 2 e 3 siano applicabili al ricorrere di una delle due condizioni contemplate dalla norma: o l’entità dei lavoratori coinvolti o la durata temporale della violazione commessa.

L’avere, poi, introdotto il requisito temporale come parametro per la predeterminazione della sanzione porta a superare l’indirizzo interpretativo (vademecum del 05/12/2008 sezione C - risposte 7 e 9 e circolare Ministero Lavoro n. 23 cit.) che rendeva l’importo variabile in relazione all’arco temporale di durata della violazione.

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