L’antieconomicità della strategia dell’imprenditore al vaglio dell’Amministrazione finanziaria
Autore: Roberta Moscioni
Pubblicato il 04 aprile 2011
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Durante le fasi dell’accertamento, i verificatori del Fisco possono denunciare oltre che la palese violazione della normativa fiscale anche comportamenti che – seppur non in infrazione di legge – appaiono antieconomici: sottendono scelte imprenditoriali che non sono finalizzate alla riduzione dei costi e alla massimizzazione dei ricavi.
In base all’interpretazione più frequente di antieconomicità, con tale concetto si fa riferimento all’alterazione di componenti positivi e/o negativi di reddito in violazione del principio della corretta interpretazione. Per tali ragioni, per l’Amministrazione finanziaria un comportamento di tal genere può essere riconducibile alla fattispecie dell’evasione fiscale e, dunque, può essere perseguito.
Secondo l’Agenzia delle Entrate (norma interna n. 55440/2008), in sede di contestazione, in presenza di una condotta ritenuta antieconomica, subentra un ribaltamento dell’onere della prova in capo al contribuente, che è tenuto a giustificare la propria condotta e a motivare le ragioni delle sue scelte considerate antieconomiche; in caso contrario, il Fisco potrà sottoporre a tassazione il componente negativo di reddito dedotto oppure il componente positivo di reddito non dichiarato.
I casi più frequenti, in cui si può ravvisare una gestione antieconomica tale da far intervenire l’Amministrazione finanziaria, sono quelli che riguardano: l’entità dei compensi ai manager; i costi sostenuti per servizi resi da altri soggetti del gruppo; l’inapplicazione di penali previste per consegne tardive di beni o esecuzione in ritardo di servizi oppure nel caso in cui la società registra utili ridotti o si trova in perdita.
In molte situazioni ritenute dal Fisco antieconomiche è stata chiamata a giudicare anche la Suprema Corte di Cassazione. Spesso, con pronunce che si dividono rispetto all’antieconomicità delle scelte dell’imprenditore.
Alcune volte, infatti, è si è affermato che rientra nelle scelte dell’Amministrazione finanziaria valutare la congruità dei costi e dei ricavi riportati in bilancio e nella dichiarazione dei redditi, così da arrivare alla formulazione del principio secondo cui i costi non allineati al valore normale si possono considerare antieconomici e non possono essere dedotti. Altre volte, invece, sono arrivate pronunce con le quali è stato negato il potere di sindacabilità delle scelte dell’imprenditore, soprattutto con riguardo ai compensi degli amministratori. In materia di inerenza, ai fini impositivi, rileva soprattutto la qualità del costo e non la quantità, dato che il nostro ordinamento riconosce all’imprenditore la libertà di scegliere la propria strategia d’impresa.
- Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 1 - Il fisco pesa l'antieconomicità - Falcone, Iorio_Fonte:www.mef.gov.it
- Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 1 - Cassazione divisa sui poteri di rettifica _Fonte:www.mef.gov.it
- Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi, p. 1 - Presupposti e merito: la difesa in due mosse _Fonte:www.mef.gov.it
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