La diffida accertativa adottata in regime di responsabilità solidale
Pubblicato il 21 giugno 2013
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L’impresa Gamma cede all’impresa Alfa un ramo di azienda. Con la cessione vengono trasferiti anche dieci lavoratori. All’atto della cessione questi ultimi risultano titolari nei confronti del cedente di retribuzioni ancora non soddisfatte. Poco dopo la cessione l’impresa Alfa appalta all’impresa Gamma il ramo di azienda ceduto. L’appalto viene eseguito dagli stessi dipendenti trasferiti. Tuttavia l’impresa Alfa omette di corrispondere ai dipendenti quanto da costoro maturato nel corso della prestazione lavorativa utilizzata nell’appalto. I lavoratori si rivolgono alla DTL competente chiedendo accertamenti in funzione della riscossione dei propri crediti. Il personale della DTL afferma che, ove la denuncia fosse fondata, gli ispettori potrebbero adottare diffide accertative per consentire ai lavoratori di intraprendere un’azione esecutiva nei confronti dei debitori. Che contenuto possono assumere le diffide accertative?
Premessa
Continua l’approfondimento delle regole che disciplinano il trasferimento d’azienda e in quest’occasione occorre focalizzare lo sguardo sulle procedure e sulle garanzie apprestate per la tutela dei crediti di lavoro maturati o maturandi nelle more della vicenda traslativa. In particolare bisogna valutare il portato applicativo e le eventuali inferenze intercorrenti rispettivamente tra l’art. 2112 c.c., comma 2, e l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276/03 e poi rapportare il tutto con le regole operative diramate dal Ministero del Lavoro per l’accertamento dei crediti di lavoro.
L’art. 2112 c.c. comma 2 dispone testualmente che “il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro”.
La disposizione non disciplina una successione del cessionario nel debito del cedente, ma prevede un rafforzamento della responsabilità di quest’ultimo, mediante l’aggiunta di un nuovo debitore e cioè il cessionario a garanzia dei crediti di lavoro, con la conseguente applicazione del regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 1292 c.c. e ss..
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Il regime della solidarietà passiva: elementi
La solidarietà è una sovrastruttura che riunisce una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro distinti ed autonomi e che consente l’estinzione degli stessi in via semplificata, perché eseguita con un unico atto solutorio, in ragione dell’unicità della prestazione ovvero della eadem causa obligandi (la stessa causa dell’obbligazione).
Nella solidarietà passiva, in sostanza, il debitore risponde al pari di ogni altro obbligato per un debito che è trattato come se fosse esclusivamente suo personale, ma, nel momento che adempie, la propria prestazione estingue anche l’obbligazione debitoria altrui. Infatti a colui che paga è concessa azione di regresso per recuperare, dagli altri condebitori, quanto eseguito in favore del creditore.
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La solidarietà nella fattispecie prevista dall’art. 2112 comma 2 c.c.
Affinché operi il regime di responsabilità solidale nello schema previsto dall’art. 2112 comma 2 c.c. occorre che:
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il credito lavorativo si sia maturato antecedentemente al trasferimento d’azienda;
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il rapporto di lavoro, quale fonte del credito, non sia già concluso all’atto della vicenda traslativa, ma perduri comunque all’esito di questa. Ove invece il rapporto sia cessato è fatta salva in ogni caso l’applicabilità dell’art. 2560 c.c. che contempla, in generale, la responsabilità dell’acquirente per i debiti dell’azienda ceduta, sempre che tali debiti risultino dai libri contabili obbligatori.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2112 comma 2 c.c. non è invece richiesto che il cessionario venga a conoscenza del mancato adempimento dell’obbligazione retributiva imputabile al cedente.
Fermo l’assunto che la responsabilità solidale opera per crediti aventi natura contrattuale, la giurisprudenza prevalente nega la possibilità di estendere la garanzia anche per gli oneri contributivi e assicurativi, mentre appare propensa ad applicare l’art. 2112 comma 2 c.c. per i danni arrecati ai dipendenti dal cedente
La disciplina dell’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276/03
Sebbene anche l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. preveda un regime di responsabilità solidale, l’ambito applicativo della norma è radicalmente diverso perché è destinato a operare in materia d’appalto e, pertanto, le parti contrattuali vanno qualificate in termini di committente e di appaltatore e/o subappaltatore e non di cedente o cessionario.
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La derogabilità all’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. ad opera della fonti collettive: spunti di riflessione
La norma ha subìto nel tempo significativi interventi di modifica, l’ultimo dei quali è stato operato dall’art. 4 comma 31 lett. a) e b) della L. 28 giugno 2012, n. 92. La recente modifica conferisce “ai contratti collettivi nazionali sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore” la facoltà di derogare al regime di responsabilità solidale ivi previsto, mediante l’individuazione di “metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti”.
L’intervento ha sollevato sul tappeto questioni non secondarie se si considera che dalla norma non si evince se i contratti collettivi “in deroga” debbano essere sottoscritti dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori dall’appaltante ovvero da quelle dell’appaltatore.
A monte poi ci si chiede se tale norma abbia o meno abrogato tacitamente la disposizione dell’art. 8 del D.L. n. 138/11 conv. in L. n. 148/11 che aveva già previsto la derogabilità delle disposizioni di legge e di contrattazione collettiva nazionale relative al regime della solidarietà negli appalti, da parte di specifiche intese realizzate dalla contrattazione di prossimità.
Si tratta di questioni che meriterebbero un ulteriore e specifico approfondimento, ma che non attengono al caso in esame, sul quale invece incide la seconda parte dell’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit., che riguarda proprio la disciplina della solidarietà negli appalti e che assume dal canto suo connotati differenti, rispetto tanto allo schema tradizionale della solidarietà delineato dall’art. 1292 c.c. quanto, e conseguentemente, alla fattispecie disciplinata l’art. 2112 comma 2 c.c..
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Lo schema della solidarietà previsto dall’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit.: elementi
Innanzitutto, nella garanzia prevista dall’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit. sono compresi, oltre ovviamente ai “trattamenti retributivi” e alle “quote di trattamento di fine rapporto”, anche i contributi previdenziali e i premi assicurativi, sicché per questi ultimi, diversamente da quanto previsto dall’art. 2112 comma 2 c.c., la solidarietà è prevista testualmente dalla norma. La responsabilità solidale è circoscritta poi ai debiti predetti “dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto” ed è azionabile nel limite temporale di due anni dalla cessazione dell’appalto. Ma l’aspetto principale che diversifica la garanzia prevista dall’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. dallo schema delle “obbligazioni solidali pure” consiste nel beneficio accordato al committente della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore e/o del subappaltatore. Torneremo in seguito sull’argomento, ora occorre soffermarci sulle interrelazioni che possono sussistere tra il regime della solidarietà previsto dall’art. 2112 comma 2 c.c. e quello disciplinato dell’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit..
Le interrelazioni tra l’art. 2112 comma 2 c.c. e l’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit.
Lo schema della solidarietà di cui all’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit. può intersecarsi con quello previsto dall’art. 2112 comma 2 c.c. e può pertanto investire le posizioni del cedente e del cessionario, nell’eventualità in cui quest’ultimo stipuli con il cedente contratto di appalto. Tale contratto può addirittura riferirsi al complesso di attività che hanno formato oggetto del pregresso contratto di cessione del ramo di azienda. In sostanza, la fattispecie, se vista dalla posizione del cedente, è contrassegnata da un processo di output in cui l’attività e l’organizzazione di parte dell’azienda vengono espulse dal ciclo produttivo mediante il ricorso allo schema dell’art. 2112 c.c.. Successivamente i beni, i servizi e il personale trasferito vengono rimessi nell’azienda del cedente attraverso la conclusione con il cessionario di un contratto di appalto, in seguito al quale il cedente assume la qualifica di committente, mentre il cessionario quella di appaltatore.
La duplice relazione negoziale risulta così contrassegnata da un doppio regime di solidarietà, ferma restando che ciascuna fattispecie conserva la propria autonoma applicativa.
Così nella fattispecie prevista dall’art. 2112 comma 2 c.c. il cedente è datore di lavoro e quindi debitore per i crediti di lavoro maturati dai propri dipendenti antecedentemente al trasferimento di azienda e rispetto a tali crediti il cessionario riveste la posizione di corresponsabile in solido.
Ove poi il ramo di azienda ceduto venga appaltato dal cessionario al cedente, quest’ultimo assume la qualifica di committente e sarà corresponsabile solidale ai sensi dell’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit., per i crediti maturati, nel corso dell’esecuzione dell’appalto, dai dipendenti dell'appaltatore.
L’efficacia del titolo esecutivo
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La fattispecie prevista dall’art. 2112 comma 2 c.c.
Considerato che il regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 2112 comma 2 c.c. rispecchia lo schema dell’art. 1292 c.c., il dipendente, per l’accertamento del proprio credito da lavoro, potrà agire indifferentemente nei confronti del cedente o del cessionario.
Se poi il lavoratore decida di evocare in giudizio uno solo dei condebitori e riesca a ottenere una statuizione che condanni quest’ultimo al pagamento in solido del credito azionato, la sentenza, in base a quanto previsto dal combinato disposto di cui agli art. 1306 comma 1 e 2909 c.c., potrà spiegare effetti nei confronti del debitore condannato, ma non anche nei confronti dell’altro condebitore rimasto estraneo al processo, perché res inter alios iudicata tertio neque nocet neque prodest (la sentenza passata in giudicato fa stato solo tra le parti del giudizio e i suoi effetti non si estendono ai terzi).
La conseguenza ulteriore è che la sentenza, quale titolo esecutivo giudiziale, potrà essere validamente azionata dal lavoratore per la riscossione coattiva del credito nei confronti del debitore convenuto e condannato nel giudizio e non anche rispetto all’altro condebitore, sebbene l’obbligazione di quest’ultimo sia avvinta dal vincolo della solidarietà.
Sicché il lavoratore che volesse agire in executivis verso tutti i condebitori solidali dovrà munirsi di un titolo esecutivo spendibile nei confronti di ciascuno di essi e ciò significa altresì che sarebbe opportuno che l’azione giudiziale per il conseguimento del titolo venga promossa dal lavoratore contro tutti i condebitori, al fine che il giudizio si svolga in contradditorio con questi ultimi.
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La fattispecie prevista dall’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit.
Considerazioni diverse valgono per la fattispecie prevista dall’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. dal momento che la norma accorda al committente un preventivo beneficio di escussione sul patrimonio degli altri soggetti coinvolti nella filiera dell’appalto.
La disposizione, nello stabilire che “il committente imprenditore o datore di lavoro è convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all’appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori”, lascia supporre che il lavoratore non abbia la potestà di determinare liberamente il perimetro soggettivo del giudizio e quindi di scegliere se evocare uno, alcuni ovvero tutti i propri condebitori solidali. L’utilizzo del verbo essere in forma indicativa presente e cioè “il committente […] è convenuto […] unitamente […]” suona nel senso che la chiamata del convenuto debba essere effettuata insieme agli altri soggetti della filiera dell’appalto e pertanto la norma sembra prefigurare un’ipotesi di litisconsorzio necessario tra il lavoratore, il committente, l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, in funzione dell’effettiva soddisfazione del credito azionato. Si tratterebbe di un disposizione speciale che deroga allo schema processuale previsto per la solidarietà perché introdurrebbe un’ipotesi di litisconsorzio necessario stabilito ex lege.
Ove venga accertata la responsabilità solidale dei convenuti, al committente è conferita la facoltà di chiedere che l’azione esecutiva venga esperita sul proprio patrimonio solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio dell’appaltatore e di quello degli eventuali subappaltatori. La disposizione si chiude con la specificazione secondo la quale se a pagare dovesse essere il committente, imprenditore o datore di lavoro, questi potrà esercitare azione di regresso nei confronti del coobbligato.
Seguendo tale interpretazione, considerato che il giudizio si svolge in contradditorio con tutti i condebitori, il lavoratore ha la facoltà di utilizzare l’eventuale sentenza di condanna nei confronti di ciascun obbligato solidale. Resta salvo il beneficio accordato al committente dall’art. 29 comma 2, D.lgs. 276 cit..
L’accertamento amministrativo dei crediti di lavoro
Rispetto al quadro normativo sopra descritto occorre verificare l’incidenza che assumono le istruzioni diramate dal Ministero in funzione dell’accertamento dei crediti patrimoniali maturati dal lavoratore in costanza di rapporto di lavoro. Il riferimento, ben si intende, riguarda la procedura e il contenuto che qualificano la diffida accertativa.
Va premesso che le circolari e le risposte a interpello emanate in materia appaiono disarmoniche, pertanto, la ricostituzione a unità delle stesse richiede che queste ultime vengano analizzate in via sistematica e sotto la lente dell’art. 12 del D.lgs. n. 124/04, letto in combinato disposto con l’art. 2112 comma 2 c.c. e con l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 124 cit..
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La diffida accertativa: principi
Sul piano normativo vale rammentare che qualora nell’ambito dell’attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo, ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. n. 124 cit., può diffidare “il datore di lavoro” a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti.
La diffida accertativa costituisce così un provvedimento autoritativo a tutela di un credito di natura privatistica, che può acquisire efficacia di titolo esecutivo, ove, nel termine perentorio di 30 giorni dalla notifica dell’atto, le parti non trovino, innanzi alla DTL, un’intesa conciliativa sul credito, ovvero il datore di lavoro decida comunque di non corrispondere affatto al lavoratore quanto diffidato dal personale ispettivo.
In tali evenienze l’art. 12 comma III del D.lgs. n. 124 cit. prevede che la diffida accertativa “acquista valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo”, previa adozione di apposito provvedimento da parte del dirigente della DTL, da notificare, tanto al datore di lavoro, quanto al lavoratore.
Conseguita la validazione il lavoratore potrà di conseguenza intraprendere la procedura esecutiva per la riscossione del credito mediante notifica al debitore dell’atto di precetto.
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Diffida accertativa e responsabilità solidale: la prassi ministeriale
La sistematizzazione del procedimento testé descritto con il regime della responsabilità solidale di cui all’art. 2112 comma 2 c.c. e all’art. 29 del D.lgs. n. 276 cit., non è stata contemplata nella circolare n 1 del 2013 con la quale il Ministero del Lavoro ha diramato istruzioni teoriche e pratiche in materia di diffida accertativa.
Né tale opera regolarizzatrice si rinviene nella circolare n. 24 del 2004 adottata in seguito alla riforma dei servizi ispettivi contenuta nel D.lgs. 124/04. Con quest’ultima circolare tuttavia era già stato esteso il portato applicativo della diffida poiché nell’occasione è stato ritenuto che l’intimazione al pagamento potesse essere impartita anche per crediti maturati in ragioni di rapporti di lavoro di natura non subordinata (es. collaborazioni a progetto), ampliando conseguentemente l’ambito dei destinatari dell’atto. Seguendo tale prospettiva la locuzione “datore di lavoro” contenuta nell’art. 12 comma 1 del D.lgs. n. 124 cit. può venire interpretata in ottica sostanzialistica e quindi in termini di soggetto obbligato al pagamento del credito patrimoniale del lavoratore. Il passo successivo compiuto dal Ministero con risposta a interpello n. 33 del 2010 è stato quello di comprendere tra i destinatari passivi dell’atto tutti i coobbligati al pagamento del credito di lavoro e quindi anche gli obbligati solidali.
2.1) Risposta a interpello n. 33 del 2010
Invero quest’ultima risposta è stata resa in materia di distacco comunitario e nell’occasione è stata previsto che la funzione di tutela dei crediti retributivi postula che la diffida accertativa ex art. 12 D.lgs. n. 124 cit. vada notificata sia al “[…] datore di lavoro […] che […] al responsabile in solido del credito retributivo, ai sensi […] dell’art. 29, comma 2, del D.lgs. n. 276/2003”.
2.2.) Circolare n. 5 del 2011
Successivamente il Ministero del Lavoro è ritornato sulla materia con circolare n. 5 del 2011, la diramando istruzioni operative in materia di appalti e subappalti e individuando altresì le ipotesi in cui può trovare applicazione l’art. 12 D.lgs n. 124 cit..
La circolare tuttavia appare equivoca in ordine alle modalità operative che il personale ispettivo deve seguire per l’emanazione della diffida e tale incertezza si ripercuote sul piano dell’efficacia del titolo e sulla scelta dei mezzi concessi al soggetto diffidato per avversare il provvedimento.
Così in caso di appalto fraudolento il Ministero applica l’assunto già indicato con risposta a interpello n. 33 cit., disponendo che la diffida accertativa ex art. 12, potrà essere adottata, non solo rispetto all’appaltatore, ma anche nei confronti del committente, in ragione dei crediti maturati dai lavoratori impiegati nell’appalto.
Tuttavia tale modalità sembra non collimare rispetto a quanto affermato in punto di solidarietà negli appalti, giacché a tal fine viene disposto che “ove vengano riscontrate inosservanze da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro che adotti il provvedimento di diffida accertativa, successivamente alla validazione da parte del Direttore della Direzione Provinciale del Lavoro (art. 12 comma 3 D.lgs. n. 124/04), è tenuto a notificare il provvedimento anche a tutti i soggetti responsabili solidali”. Sul piano strettamente letterale-sintattico l’istruzione significa che, in presenza di regime di solidarietà, il personale ispettivo dovrebbe notificare il provvedimento di diffida accertativa solamente al datore di lavoro e non anche al corresponsabile solidale, come invece previsto nell’interpello n. 33 del 2010 e in materia di appalto fraudolento. Non solo. Al corresponsabile in solido dovrebbe essere notificata la diffida accertativa emessa nei confronti del datore di lavoro solo se validata ai sensi dell’art. 12 comma 3 D.lgs. n. 124 cit. e unitamente al decreto direttoriale.
A sommesso avviso degli scriventi quest’ultima sequenza procedimentale conduce all’inutilizzabilità del titolo esecutivo nei confronti del corresponsabile solidale. Quest’ultimo, infatti, risulterebbe destinatario di un decreto direttoriale emesso all’esito di un procedimento svolto in sua assenza e nei confronti del solo datore di lavoro. La posizione del corresponsabile non verrebbe neppure menzionata nel titolo esecutivo con la conseguenza che costui non avrebbe nessun interesse all’impugnativa del titolo attesa l’inefficacia dell’atto nei suoi confronti.
2.3) Verso un’esegesi uniforme
Una lettura razionale e uniforme della prassi porta a ritenere che le indicazioni appena descritte e contenute nella circolare n. 5 siano più che altro frutto di un lapsus calami e che pertanto dovrebbero essere lette in armonia con quanto stabilito dalla stessa circolare in materia di appalto fraudolento e prima ancora con risposta a interpello n. 33 cit.: notifica della diffida, prima della sua validazione, a ciascun corresponsabile solidale.
La diffida accertativa, una volta validata dal Direttore della DTL, costituisce titolo esecutivo di una natura diversa rispetto alla sentenza di condanna (perché di formazione amministrativa e non giurisdizionale), ma che è dotato di pari efficacia perché al pari della sentenza può essere utilizzata per azionare la riscossione coattiva del credito, mediante iniziale notifica del precetto. La diffida, proprio perché titolo di formazione amministrativa, non è disciplinata nei suoi effetti delle regole dettate per il processo e per l’opponibilità delle sentenze e tuttavia per schemi assiologici può essere sussunta ragionevolmente nell’ambito degli stessi principi. Sicché, laddove si volesse utilizzare la diffida accertativa anche nei confronti del corresponsabile solidale occorre che quest’ultimo, insieme al datore di lavoro, venga coinvolto nel procedimento ispettivo sin dall’avvio delle verifiche, perché anche al corresponsabile deve essere offerta la possibilità di spiegare le proprie argomentazioni in difesa della propria posizione.
Ciò significa che al corresponsabile dovrebbe essere notificato, non solo il verbale di primo accesso ispettivo, ma anche l’eventuale diffida accertativa, nella quale occorrerebbe specificare che l’intimazione al pagamento è stata impartita al datore di lavoro e al corresponsabile in solido tra loro. Solo in tale modo si conferisce a entrambi i debitori solidali la facoltà di estinguere la procedura mediante conciliazione ai sensi dell’art. 12 comma 2, ipotesi questa invece che non sarebbe percorribile se al corresponsabile venisse notificato esclusivamente il decreto direttoriale, atteso che tale conciliazione può svolgersi solo se all’intimato sia stata notificata la diffida e solo in seguito ad essa.
Infine, tanto al datore quanto al corresponsabile solidale dovrebbe essere notificato l’atto terminale della procedura e cioè il decreto direttoriale di validazione della diffida. Nel decreto dovrebbe essere specificato che la diffida costituisce titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro e del corresponsabile solidale e che pertanto entrambi potranno contestare il titolo, poiché entrambi verrebbero qualificati come soggetti passivi dell’eventuale azione esecutiva.
2.4) Operatività della diffida nei differenti regimi di solidarietà
Tali considerazioni vanno poi correlate con le differenti modalità con cui opera la garanzia nei casi previsti dall’art. 2112 comma 2 c.c. e dall’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit.. Infatti in quest’ultima ipotesi al committente è accordato un beneficio di escussione che non ricorre nel regime previsto dall’art. 2112 c.c., in cui il dipendente può agire in via esecutiva indifferentemente nei confronti di uno dei debitori.
Il diverso regime comunque non incide sulle regole di formazione del titolo, poiché il beneficio di escussione riconosciuto al committente costituisce un’eccezione spendibile in sede processuale e non già in sede amministrativa.
Sulla scorta delle complessive argomentazioni sopra esposte si può esaminare il caso concreto.
Il caso concreto
L’impresa Gamma ha ceduto all’impresa Alfa un ramo di azienda. Con la cessione sono stati trasferiti anche dieci lavoratori. All’atto della cessione questi ultimi risultavano titolari nei confronti del cedente di retribuzioni ancora non soddisfatte. Rispetto a tali crediti, in quanto di natura retributiva e maturati in epoca antecedente alla cessione del ramo di azienda, Alfa assume la posizione di corresponsabile in solido ai sensi dell’art. 2112 comma 2 c.c.. Ma il regime solidarietà, seppur sulla base di differenti condizioni, investe le predette imprese anche per il contrato di appalto concluso da costoro successivamente alla cessione del ramo di azienda e avente ad oggetto proprio l’attività trasferita. Tale appalto è stato eseguito dagli stessi dipendenti e anche per tali prestazioni costoro avanzano retribuzioni non soddisfatte. L’inadempienza delle imprese ha spinto i lavoratori a rivolgersi alla DTL competente per chiedere accertamenti in funzione della riscossione dei propri crediti.
Ebbene, alla luce di tali circostanze, secondo gli scriventi appare corretto che gli ispettori coinvolgano nel procedimento ispettivo sia Alfa sia Gamma.
Laddove poi dovesse essere accertato che le retribuzioni correlate sia alla cessione del ramo di azienda sia all’appalto non siano state pagate ai dipendenti, è in facoltà del personale ispettivo adottare la diffida accertativa onde attribuire ai creditori un titolo esecutivo da utilizzare per la riscossione coattiva del credito.
Sotto l’aspetto procedimentale sembrerebbe opportuno che gli ispettori seguissero le istruzioni testé specificate al punto n. 2.3.
Sicché per le retribuzioni maturate e non pagate antecedentemente alla cessione del ramo di azienda gli ispettori potranno adottare, nei confronti di Alfa e di Gamma, un atto di diffida accertativa in cui venga precisato che l’intimazione di pagamento viene emessa contro i condebitori in solido tra loro. Medesima menzione dovrà contenere anche l’eventuale decreto diretto di validazione delle diffide accertative.
Anche per quanto riguarda le retribuzioni maturate nel corso dell’appalto, ma non pagate da Alfa, le ulteriori diffide accertative e gli eventuali successivi decreti direttoriali dovranno dare atto dell’azionabilità dei titoli nei confronti di ciascun corresponsabile in solido. In quest’ultima ipotesi e solo all’esito della notifica del decreto e del precetto e quindi in sede di opposizione giurisdizionale, Gamma, in qualità di committente, potrà eccepire il preventivo beneficio di escussione del patrimonio di Alfa.
NOTE
i Comprese le quote di TFR; sul punto cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 22/09/2011, n. 19291.
ii Tutti i debitori sono tenuti ad una medesima prestazione in modo che l’adempimento di uno libera tutti i coobbligati. In tal senso cfr. Cass. Civ. n. 2623/87; ex multis Cass. Civ. n. 5082/90. Sul piano strutturale l’obbligazione solidale riassume una pluralità di vincoli obbligatori e i presupposti necessari per la sua configurazione vengono riconosciuti nella pluralità di soggetti e, sul piano oggettivo, nell’unicità della prestazione e della causa obligandi.
iii Pertanto il meccanismo di garanzia non assiste i crediti inerenti ai rapporti di lavoro cessati o comunque esauriti in epoca anteriore alla vicenda circolatoria. In tal senso cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 19/12/1997, n. 12899; Trib. Trieste Sez. lavoro, 16/04/2010; App. Roma Sez. lavoro, 29/10/2005; Trib. Milano, 15/03/2000; Trib. Torino, 21/10/1996.
iv Cass. civ. Sez. lavoro, 29/03/2010, n. 7517; Trib. Milano, 25/10/2001.
v Per l’orientamento contrario all’estensione cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 16/06/2001, n. 8179; analogamente cfr. T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, 10/02/2005, n. 350. Tuttavia vedi Cass. civ. Sez. III, 16/04/2009, n. 9012.
vi Cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 27/05/2011, n. 11763.
vii In concorrenza con la disciplina di cui all’art. 1676 c.c.. La differenza tra la disciplina prevista dall’art. 1676 c.c. e l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. è stata illustrata nel caso pratico de "L'Ispezione del lavoro", dell'8 giugno 2012, "Negli appalti pubblici c'è responsabilità solidale del committente?" pubblicato in questa rivista. Ovviamente il contenuto di quel contributo va letto alla luce delle recenti riforme che hanno interessato l’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit..
viii Sull’art. 29 comma 2 del D.lgs. n. 276 cit. sono intervenuti in sequenza: l’art. 6, comma 1, D.lgs. 6 ottobre 2004, n. 251, successivamente l’art. 1, comma 911, L. 27 dicembre 2006, n. 296 e poi l’art. 21, comma 1, D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 aprile 2012, n. 35. Da ultimo il presente comma è stato così modificato dall’art. 4, comma 31, lett. a) e b), L. 28 giugno 2012, n. 92.
ix Se si considera anche l’art. 1676 c.c. il regime di solidarietà è triplice.
x Infatti la responsabilità solidale prevista dall’art. 1292 c.c. non dà luogo a litisconsorzio necessario tra i condebitori, cioè significa che non occorre, ai fini della corretta instaurazione del giudizio, che il contraddittorio processuale venga instaurato dal lavoratore con entrambi i condebitori essendo invece sufficiente che l’azione venga intentata anche solo nei confronti di uno di essi. Cfr. Cass. civ. Sez. III, 17/01/2012, n. 549; ex multis cfr. Cass. civ. Sez. III, 30/08/2011, n. 17795 (rv. 619368).
xi Il secondo comma dell’art. 1306 c.c. prevede, invece, l’efficacia riflessa del giudicato e che consente ai condebitori che non hanno partecipato al giudizio la possibilità di opporre al creditore soccombente in causa la statuizione favorevole ottenuta dal condebitore vittorioso.
xii Ciò è quanto si ricava in motivazione da Cass. civ. Sez. III, 30/01/2012, n. 1289. D’altronde se la solidarietà riunisce una pluralità di rapporti imputabili separatamente a ciascun debitore appare logico ritenere che il titolo esecutivo conseguito nei confronti di uno di essi non possa essere speso per estinguere un rapporto giuridico riferibile a un altro condebitore.
xiii Il riferimento al committente imprenditore o datore di lavoro conduce a ritenere che l’art. 29 comma 2 D.lgs. n. 276 cit. si applica anche ai soggetti datori di lavoro ma non imprenditori. Sulla distinzione cfr. il caso pratico de "L'Ispezione del Lavoro", del 23 marzo 2012, "L'attività del familiare nello studio del professionista e margini per l'adozione del provvedimento di sospensione" pubblicato in questa rivista.
xiv Sempre nel termine di 30 giorni dalla notifica dell’atto, al datore di lavoro è comunque riconosciuta la possibilità di adire il Comitato regionale per i rapporti di lavoro per contrastare la legittimità dell’atto. La presentazione del ricorso sospende l’esecutività della diffida. Il Comitato regionale adito deve decidere il ricorso entro novanta giorni dal ricevimento dello stesso, con provvedimento motivato e tenuto conto della documentazione prodotta dal datore di lavoro e di quella in possesso della DTL che ha adottato e validato la diffida accertativa impugnata. La decisione del Comitato può essere:
-
di accoglimento del ricorso, da cui consegue la perdita di efficacia esecutiva e di valore di accertamento tecnico della diffida accertativa, oggetto di impugnazione;
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di rigetto del ricorso, a seguito del quale termina la sospensione dell’esecutività e l’atto di diffida diventa definitivo;
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di parziale accoglimento, con una riduzione dell’importo patrimoniale dovuto al lavoratore. In questo caso la diffida accertativa mantiene lo status di titolo esecutivo, ma per riscuotere una somma di denaro inferiore a quella stabilita inizialmente dall’Amministrazione.
Il datore di lavoro potrà opporsi all’esecuzione ai sensi degli articoli 615-617 del c.p.c..
xv Tale esegesi collima altresì con la ratio dell’art. 12 D.lgs. n. 124 cit., volta ad apprestare una tutela effettiva al lavoratore, il quale vedrebbe in tal modo ampliata la gamma dei soggetti e dei patrimoni sui quali poter soddisfare il proprio credito. E ciò in perfetta adesione al principio del favor prestatoris che permea l’intera materia lavoristica.
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