Il manager accusato di evasione è interdetto dal ruolo di amministratore
Autore: Roberta Moscioni
Pubblicato il 05 ottobre 2011
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I giudici della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35861 del 4 ottobre 2011, hanno offerto una chiave di lettura del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, recante il titolo “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205”.
In particolare, ad essere oggetto di attenta analisi da parte degli Ermellini, con conseguente trasposizione al caso di specie, è stato l’articolo 12 del Dlgs, riguardante le “pene accessorie”.
Si legge nel testo di legge che la condanna per uno dei delitti previsti dal decreto comporta l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni e, come diretta conseguenza, l'incapacità del condannato di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni. È, inoltre, contemplata l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni e l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria.
Nel caso in cui ad essere accusato è un manager di un’impresa - caduto nella fattispecie del reato tributario di evasione fiscale (omessa dichiarazione) - la trasposizione delle norme sopra ricordate porta all’interdizione dello stesso dal ruolo di amministratore aziendale per un periodo di almeno sei mesi e al divieto per tre anni di partecipare agli appalti pubblici.
- ItaliaOggi, p. 37 - Chi evade non può amministrare
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