F24 con crediti inesistenti. E’ responsabile il commercialista?

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F24 con crediti inesistenti. E’ responsabile il commercialista?

Su quali basi un consulente fiscale può essere soggetto alla misura cautelare del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente con riguardo al reato previsto dall’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 – indebita compensazione?

Sul punto si è espressa la Corte di cassazione – terza sezione penale – con sentenza n. 35133 emessa il 21 agosto 2023.

Il fatto

Con decisione del Tribunale del riesame, un commercialista si è visto annullare sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente – emesso dal Gip - per il reato di indebita compensazione Iva (articolo 10-quater del Dlgs 74/2000).

Il consulente era stato sottoposto alla detta misura per aver inviato tre F24 come intermediario di una società, dai quali era emerso che i crediti utilizzati fossero inesistenti.

Il pubblico ministero ha posto ricorso contro la decisone del Tribunale del riesame ritenendo che esistesse il dolo eventuale del professionista nell’invio dei modelli F24 in quanto lo stesso – come da costante giurisprudenza di legittimità – non avrebbe effettuato un controllo sulla documentazione inoltrata dalla società, anche verificando la situazione dell’insistenza dei crediti attraverso le banche dati dell’agenzia delle Entrate e della Camera di commercio.

Cassazione: manca elemento soggettivo del reato

La sentenza n. 35133/2023 della terza sezione penale della Corte di cassazione non ritiene che la pronuncia del Tribunale del riesame contenga profili di violazione di legge.

E’ stato sufficientemente argomentato come il consulente fiscale non fosse a conoscenza dell’illiceità della compensazione dei crediti contenuta negli F24 che aveva inviato all’Agenzia delle Entrate.

Infatti, non sono emerse conversazioni, documenti o dichiarazioni a dimostrazione dell’adesione dell’indagato al disegno criminoso diretto a frodare l’erario.

Altresì, va rilevato che i modelli inviati erano in numero esiguo (tre), di cui uno solo di importo consistente (110.000 euro), e che il commercialista ha cessato il rapporto con l’azienda subito dopo l’invio dei detti modelli.

Pertanto, dalla vicenda non emergono elementi a supporto dell’ipotesi che il consulente fiscale fosse a conoscenza della frode, conducendo alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

Il ricorso del Procuratore Generale va, quindi, dichiarato inammissibile.

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