Indebita compensazione. Il cliente frodato dal commercialista evita la condanna

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Indebita compensazione. Il cliente frodato dal commercialista evita la condanna

Indebita compensazione correlata all'infedeltà del consulente? Cliente non responsabile penalmente, manca l'elemento soggettivo del reato.

Annullata, dalla Cassazione, la condanna penale per il delitto di indebita compensazione ex art. 10 - quater, comma 2, D.lgs. 74/2000, impartita all'amministratore delegato di una Srl, accusato di non aver versato le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti Iva inesistenti

L'imputato aveva impugnato la decisione di appello, confermativa della sua penale responsabilità, davanti alla Suprema corte, dove aveva lamentato, tra i motivi, una mancanza di motivazione in ordine all'elemento soggettivo del reato.

Compensazione crediti Iva inesistenti da infedeltà dei consulenti

Secondo la sua difesa, la Corte territoriale aveva omesso di valutare adeguatamente la denuncia-querela per appropriazione indebita che lo stesso aveva presentato nei confronti dei professionisti a cui aveva affidato la contabilità dell'impresa e le dichiarazioni rese, sui fatti, da una testimone chiave.

Tale denuncia-querela era scattata in considerazione del mancato versamento, da parte dei consulenti, degli importi consegnati per il pagamento delle imposte nonché alla luce della falsità delle ricevute di pagamento attestanti l'assolvimento di tali oneri.

Il ricorrente aveva dedotto, altresì, un vizio di motivazione in relazione alla ritenuta mancanza di correlazione tra l'infedeltà dei professionisti e l'indebita compensazione.

I giudici di gravame - a suo dire - non avevano considerato che l'errata rappresentazione della realtà effettuata dai commercialisti, attraverso la presentazione di documenti fiscali apparentemente formali, aveva determinato il perpetuarsi della situazione di irregolarità fiscale.

Di fatto, le compensazioni illecite erano il frutto dell'attività illecita dei commercialisti a cui si erano rivolti, peraltro rinviati a giudizio a seguito della menzionata denuncia per appropriazione indebita.

Reato di indebita compensazione, elemento soggettivo

Con sentenza n. 4464 del 9 febbraio 2022, la Suprema corte ha ritenuto fondato il ricorso del imprenditore, riconoscendo la sussistenza dei denunciati vizi di motivazione.

In primo luogo, gli Ermellini hanno precisato che l'elemento soggettivo del reato contestato è il dolo generico.

Riguardo al reato di indebita compensazione di crediti ex art. 10-quater, è stato quindi ricordato che, sotto il profilo soggettivo, l'inesistenza del credito costituisce di per sé, salvo prova contraria, un indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco.

Quando invece vengono dedotti crediti non spettanti, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, occorre provare la consapevolezza, da parte del contribuente, che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa.

Per quanto concerneva il caso esaminato, la Cassazione ha ritenuto che non fosse stato dato alcun valore probatorio, ai fini della valutazione della sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, alle dichiarazioni rese dalla teste, in ordine alla falsità delle ricevute di pagamento inviate.

Un'omissione, questa, idonea ad incidere sulla ratio decidendi, perché volta a dimostrare che la società aveva inviato delle somme ai consulenti per i pagamenti delle imposte, poi non effettuati.

L'omessa valutazione di tale testimonianza rendeva la motivazione manifestamente illogica nella parte in cui aveva escluso l'interesse dei consulenti a far apparire nella dichiarazione IVA la compensazione con i crediti inesistenti. Se infatti, come sostenuto dalla testimone, le somme erano già state versate dalla Srl, l'unico modo per non versarle e poterle trattenere, era dichiarare il saldo zero, mediante la compensazione. 

Da qui, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per un nuovo esame di merito.

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