Elezioni ripetute su ordine giudice
Pubblicato il 26 luglio 2016
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Le Sezioni unite civili di Cassazione hanno respinto il ricorso promosso dall’Assemblea regionale siciliana e dalla Regione Sicilia contro la decisione con cui il Consiglio di giustizia amministrativa dell’isola (CGARS) aveva dichiarato l’obbligo dell’amministrazione regionale di dare esecuzione a due sue sentenze, rimaste ineseguite, di parziale annullamento delle operazioni elettorali relative ad alcune sezioni di due comuni siciliani.
Secondo le ricorrenti amministrazioni, la decisione impugnata aveva invaso un terreno riservato dallo Statuto regionale alla potestà legislativa della Regione. In particolare, in assenza di una disciplina, nello Statuto, riferibile alla fattispecie dell’annullamento giurisdizionale delle elezioni, avrebbe dovuto trovare applicazione, in via analogica, la disposizione di cui all’articolo 130, comma 9 del C.p.a., per la quale il giudice amministrativo può correggere il risultato delle elezioni e sostituire ai candidati illegittimamente proclamati coloro che ne hanno diritto.
Il giudice, ossia, avrebbe potuto solamente annullare e privare di effetto i voti contestati ma non - come aveva invece fatto nel caso di specie – disporre la ripetizione delle operazioni elettorali.
Questione non pertinente a sentenza impugnata
A fronte di questa censura, la Suprema corte ne ha rilevato l’improprio rilievo, in quanto riferito alla sentenza con cui il CGARS si era pronunciato su ricorso per l’ottemperanza e dove erano state fissate le modalità di esecuzione delle due precedenti decisioni.
Era con queste ultime, tuttavia, che il giudice amministrativo aveva disposto il rinnovo delle operazioni elettorali nelle sezioni contestate e, pertanto, era a queste che, eventualmente, sarebbe dovuta essere ascritta la pretesa violazione dei limiti di esercizio della giurisdizione e non anche alla sentenza successiva.
Quest’ultima – hanno precisato, del resto, le Sezioni unite nella sentenza n. 15286 del 25 luglio 2016 – non avrebbe potuto non lasciare ferma la precedente statuizione e mai avrebbe potuto adottare una pronuncia che sovvertisse radicalmente il contenuto delle disposizioni oggetto di ottemperanza.
Nel ricorso erano pertanto state proposte questioni “non pertinenti” con il contenuto della decisione impugnata, questioni, in quanto tali, non fondate.
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