Dipendente insultata Maltrattamenti in famiglia
Pubblicato il 05 dicembre 2016
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Risponde del reato di maltrattamenti in famiglia, ex art. 572 c.p., il titolare di uno studio commercialista che sistematicamente sottopone la propria dipendente a condotte vessatorie in ambito lavorativo.
E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, rigettando il ricorso di un commercialista – datore di lavoro.
Il Tribunale aveva inizialmente ricondotto la fattispecie in questione nel reato di cui all'art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione), argomentando come la donna, nel periodo preso in considerazione al capo di imputazione, fosse stata ripetutamente accusata dal datore di commettere numerosi errori nello svolgimento delle proprie mansioni.
Ben oltre la correzione
Ma dalla ricostruzione dei fatti – sottolinea la Cassazione – è emerso il verificarsi, nel contesto di uno studio commercialistico di pochi dipendenti, di sistematiche condotte del titolare caratterizzate, oltre che da insulti, minacce ed ingiurie a voce alta, anche da lancio di oggetti ed imposizione di comportamenti gratuitamente prevaricanti, tali da incidere pesantemente sulla libertà personale della lavoratrice.
Trattasi dunque di comportamenti del tutto avulsi dalle funzioni correttive e direttive/disciplinari attribuite al datore, posti in essere approfittando della situazione di debolezza della dipendente e determinando in essa un documentato e profondo disagio psichico.
Contesto parafamiliare
Oltretutto la riferita situazione ambientale, sottolinea il Collegio, è sussumibile in un contesto di parafamiliarià; intesa come la sottoposizione di una persona all'autorità di altra, in condizione di prossimità permanente - per dimensioni e natura del luogo di lavoro, per la stretta comunanza di vita, nonché per l’affidamento e la fiducia del sottoposto nell’azione di chi esercita l’autorità – con il rapporto familiare, caratterizzato da ampia discrezionalità ed informalità.
Pertanto, le condotte vessatorie poste in essere dall'imputato ai danni della dipendente – conclude la Corte con sentenza n. 51591 del 2 dicembre 2016 – devono essere sussunte nella più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p.
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