Dimissioni per fatti concludenti: 3 incognite per i datori di lavoro
Pubblicato il 17 aprile 2025
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Il Collegato lavoro (articolo 19, legge 13 dicembre 2024, n. 203), in vigore dal 12 gennaio 2025, ha novellato l’art. 26 del D.Lgs. 151/2015, inserendo il comma 7-bis, che disciplina le dimissioni per fatti concludenti. In particolare, la norma stabilisce che: “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. […] Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore […].”
Il legislatore riconosce formalmente, per la prima volta sul piano normativo, la possibilità di considerare implicite le dimissioni, desumibili da un comportamento inequivoco del lavoratore come l'assenza ingiustificata protratta oltre un termine predefinito.
La risoluzione del rapporto non è automatica: è il datore di lavoro che può decidere di attivare la procedura, "valorizzando" la presunta volontà dismissiva del rapporto con una comunicazione formale dell’assenza ingiustificata del lavoratore all’Ispettorato territoriale del lavoro competente in base al luogo di svolgimento del rapporto di lavoro. Solo allora può attuarsi l’effetto risolutivo del rapporto di lavoro, con le conseguenze previste dalla norma.
Durata dell’assenza: termine legale dei 15 giorni di calendario
In assenza di specifica previsione nel CCNL applicato al rapporto di lavoro, la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti è di 15 giorni di calendario, come ha precisato la circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 6 del 27 marzo 2025.
Il CCNL applicato al rapporto di lavoro potrà disciplinare espressamente la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti, stabilendo un termine diverso e più favorevole, vale a dire superiore a quello legale, per ricondurre all’assenza ingiustificata l’effetto risolutivo del rapporto.
Il termine legale di 15 giorni di assenza ingiustificata rappresenta una soglia minima: può essere aumentato dal CCNL, ma non ridotto. Lo stesso inoltre fissa il dies a quo per l’invio della comunicazione all’Ispettorato, possibile a partire, dal sedicesimo giorno di assenza. Nulla vieta, sottolinea il Ministero del lavoro, che la comunicazione all’Ispettorato possa essere formalizzata anche in un momento successivo.
La comunicazione, a sua volta, rappresenta il dies a quo per l’invio della comunicazione obbligatoria di cessazione tramite il modello UNILAV (entro 5 giorni).
Ruolo del CCNL
Il CCNL applicato al rapporto può disciplinare espressamente le dimissioni per fatti concludenti prevedendo, come abbiamo dettp un termine più favorevole per il lavoratore (es. oltre i 15 giorni). Non può invece stabilire un termine inferiore ai 15 giorni, pena la disapplicazione della clausola in quanto meno favorevole al lavoratore.
Tale percorso è alternativo a quello delineato dal CCNL attivando la procedura disciplinare di cui all’articolo 7 della legge n. 300/1970.
Incertezze procedurali per i datori di lavoro: le tre incognite
Il percorso delineato dal legislatore presenta numerose incognite. Ecco quali sono.
Incognita 1 – Prevalenza delle dimissioni telematiche per giusta causa
La prima incognita riguarda l’efficacia della procedura telematica di cessazione per fatti concludenti avviata dal datore di lavoro in caso di assenza ingiustificata, quando sopraggiunge una comunicazione di dimissioni per giusta causa da parte del lavoratore.
È chiarito che, anche qualora il datore di lavoro abbia avviato la cessazione per comportamenti concludenti del lavoratore, tale procedura diventa inefficace se il Ministero riceve successivamente una comunicazione di dimissioni di dimissioni per giusta causa dallo stesso lavoratore tramite il canale telematico.
Questo principio sottolinea la prevalenza della volontà esplicitamente espressa dal lavoratore, che rimane subordinata però alla prova della sussistenza della giusta causa (come da circolare INPS n. 163/2003). Ciò, se da un lato tutela il lavoratore rispetto a infondate decisioni unilaterali del datore, crea tuttavia incertezza sul buon esito della procedura avviata.
Incognita 2 – Verifica delle veridicità della comunicazione
La seconda incognita riguarda l’esito dell’eventuale attività di verifica esercitata dall’ITL.
La comunicazione datoriale, resa secondo il modello ufficiale (INL, nota n. 579 del 22 gennaio 2025) e completa di tutte le informazioni richieste, potrà essere oggetto di verifica di veridicità da parte dell’IT. La verifica potrà includere:
- contatti diretti con il lavoratore, al fine di accertare se si sia effettivamente assentato ingiustificatamente e se abbia avuto la possibilità di comunicare le ragioni dell’assenza;
- interviste o contatti con altri soggetti, quali altri lavoratori impiegati presso la stessa azienda, persone esterne che possano fornire informazioni rilevanti, referenti interni o responsabili del personale.
Gli accertamenti devono essere avviati e conclusi tempestivamente, in modo da evitare che la situazione si cristallizzi ingiustamente. È previsto un termine massimo di 30 giorni dalla ricezione della comunicazione datoriale per completare la verifica.
Incognita 3 – Prova dell’impossibilità di comunicazione
La terza incognita si riferisce alla possibilità, per il lavoratore, di provare l’impossibilità di comunicare i motivi della propria assenza.
La norma prevede infatti che l’effetto risolutivo possa essere evitato se il lavoratore prova che non ha potuto comunicare per forza maggiore (es. ricovero ospedaliero) o per causa imputabile al datore.
Se l’Ispettorato riscontra l’inesattezza della comunicazione datoriale, la cessazione risulta priva di effetti e il datore di lavoro potrebbe essere esposto a responsabilità penale in caso di false comunicazioni.
Conclusioni
Le incognite esaminate mettono in luce la complessità dell’iter per il riconoscimento formale delle cd. dimissioni implicite.
Pur confermando l’indiscutibile convenienza economica della risoluzione per fatti concludenti (per le dimissioni per fatti concludenti non è infatti dovuto dai datori di lavoro il contributo di licenziamento come evidenziato dall’INPS nel messaggio 19 febbraio 2025, n. 639), incertezze e incognite procedurali pesano considerevolmente, diminuendo l’appeal del nuovo istituto.
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