Conversione in rapporto subordinato senza irriducibilità della retribuzione
Pubblicato il 01 settembre 2021
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Rapporto di lavoro autonomo convertito in subordinato? Non si applica il principio di irriducibilità della retribuzione.
Nell'ipotesi di conversione di un contratto di lavoro autonomo in un rapporto di lavoro subordinato il giudice deve verificare il rispetto dei minimi retributivi previsti dal contratto collettivo in riferimento alla categoria spettante, mentre non può applicare - ex post - principi vigenti per il diverso schema negoziale della subordinazione.
In tale contesto, ossia, non possono essere estesi, al compenso pattuito dalle parti nell'ambito del lavoro autonomo, criteri di erogazione della retribuzione applicabili esclusivamente al diverso schema negoziale del lavoro subordinato, come nel caso della irriducibilità della retribuzione.
Questo, tuttavia, non esclude che - in presenza di contrattazione tra le parti o semplicemente di offerta del datore di lavoro - il trattamento corrisposto di fatto, se più favorevole, sia mantenuto e si sostituisca in toto a quello contrattuale.
Rapporto di lavoro autonomo convertito in subordinato: possibile ridurre la retribuzione?
E’ quanto si desume dalla lettura della ordinanza della Corte di cassazione n. 23329 del 24 agosto 2021, pronunciata in accoglimento del ricorso di una fondazione contro le pretese avanzate da una lavoratrice.
La Corte d’appello, in particolare, aveva riconosciuto a quest'ultima il diritto all'ottenimento delle differenze retributive per il periodo in cui aveva svolto attività lavorativa presso la fondazione, in esecuzione di un contratto di somministrazione, percependo una retribuzione inferiore rispetto a quella corrisposta nel corso di pregressi contratti a progetto, convertiti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Nella decisione impugnata era stato ritenuto applicabile il principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dall’art. 2103 c.c. (nel testo precedente alla novella del D. Lgs. n. 81/2015).
Principio di irriducibilità della retribuzione, applicabilità
Tale principio – ha ricordato la Suprema corte - rappresenta un aspetto del complesso e articolato apparato protettivo che il legislatore ha istituito intorno alla figura del lavoratore subordinato: con riguardo alla prestazione lavorativa, il datore di lavoro, nell'ambito delle mansioni pattuite al momento dell'assunzione, sceglie di volta in volta, mediante l'esercizio del potere direttivo, quali far svolgere in concreto al lavoratore, con il limite - relativamente alla legislazione vigente sino al 2015 - della equivalenza delle mansioni e la garanzia della irriducibilità della retribuzione, ossia della non riduzione del compenso.
La garanzia della irriducibilità della retribuzione, ciò posto, può essere logicamente riferita al solo caso di un accordo sulla retribuzione concluso all'interno di un rapporto di lavoro legittimo, qualificato fin dall'inizio come subordinato, rispetto al quale non può concepirsi un controllo sull'esercizio dello ius variandi del datore di lavoro rispetto alla concreta attuazione del medesimo rapporto di lavoro subordinato e all'evoluzione del trattamento economico.
Da qui l’affermazione del principio di diritto secondo cui: “nel rapporto di lavoro che sia stato qualificato ab origine come autonomo e sia stato successivamente convertito ope iudicis in lavoro subordinato non opera il principio di irriducibilità della retribuzione, sancito dall'art. 2103 cod.civ.”.
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