Contratto con la sola firma del cliente. Banca ammessa al passivo
Pubblicato il 05 giugno 2018
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Perché possa ritenersi valida la stipula di un contratto bancario non è necessaria la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca.
Il consenso di quest’ultima, infatti, si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili.
Pertanto, la conclusione del negozio non deve necessariamente essere fatta risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa.
Data certa di conclusione del negozio?
E’ questo il principio di diritto enunciato dalla Prima sezione civile della Cassazione con ordinanza n. 14243 depositata il 4 giugno 2018 in tema di contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all’articolo 117 del Decreto legislativo n. 385/1993.
Con detta pronuncia, la Suprema corte ha accolto, con rinvio, il ricorso promosso da un istituto di credito contro la decisione di mancata ammissione al passivo fallimentare di una Srl di un proprio credito chirografario, derivante dal saldo di un conto corrente acceso dalla società fallita.
La Corte d’appello che aveva confermato la decisione di primo grado, pur ammettendo che la prova del contratto di apertura di conto corrente potesse essere fornita attraverso la produzione in giudizio della scrittura privata contenente la sola accettazione della proposta, sottoscritta dal cliente, aveva ritenuto che la data della conclusione del negozio avrebbe potuto considerarsi certa solo dal momento in cui la scrittura privata fosse stata versata in atti.
Conclusione, questa, censurata dalla difesa della banca, la quale, nel ricorso in sede di legittimità, ha ricordato che, nella specie, la proposta del contratto di conto corrente era stata sottoscritta dalla società fallita e che essa recava una data precisa.
Tale data “risultava certa, in quanto il documento contrattuale recava il timbro postale sulla quarta facciata, la quale faceva corpo unico con la parte restante della scrittura privata in questione”.
Questo, senza contare che, in ogni caso, la banca aveva manifestato l'intenzione di avvalersi del contratto con la propria istanza di ammissione al passivo e che tale dichiarazione doveva produrre effetti ex tunc, non già ex nunc.
Requisito della forma scritta e certezza della data
I giudici di Piazza Cavour, in primo luogo, hanno ricordato il principio di diritto già affermato dalle Sezioni Unite della medesima Corte, secondo cui “Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal digs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 23, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.
In detto contesto, gli Ermellini hanno, quindi, precisato che, se, ai fini del perfezionamento della fattispecie, non è necessaria la sottoscrizione di una delle parti, e cioè, nella specie, dell'istituto di credito, che normalmente assume la veste di proponente nei contratti bancari, nulla impedisce che il negozio venga validamente ad esistenza prima della produzione in giudizio della scrittura privata e indipendentemente da tale evenienza.
Nulla impedirebbe, inoltre, “che la certezza della data ex art. 2704 c.c. sia desumibile da evidenze comprovanti, in modo univoco, che il contratto, documentato dalla scrittura privata recante la proposta della banca firmata dal cliente, sia stato concluso prima di quel momento”.
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