Contratti a tempo determinato e somministrazione di lavoro post Decreto Dignità. Indicazioni operative

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Contratti a tempo determinato e somministrazione di lavoro post Decreto Dignità. Indicazioni operative

Con la circolare del 31 ottobre 2018, n. 17, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito le prime indicazioni interpretative in materia di contratto di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro, dopo le modifiche al decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81 (G.U. n. 144 del 24 giugno 2015), apportate dal decreto legge del 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. “Decreto Dignità”, G.U. n.161 del 13 luglio 2018), convertito, con modificazioni, dalla legge del 9 agosto 2018, n. 96 (G.U. n.186 dell’11 agosto 2018).

La circolare è stata emanata con l’obiettivo di favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina e per dare le prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento pervenute al Ministero, così da supportare le aziende che fanno ricorso al contratto a termine e alla somministrazione.

Analizziamo, allora, cosa comporta l’entrata in vigore del nuovo regime, iniziando dal contratto a tempo determinato, per poi passare alla somministrazione di lavoro.

 

Entrata in vigore delle nuove disposizioni

Terminato il periodo transitorio previsto dalla legge di conversione del c.d. “Decreto Dignità”, dal 1° novembre 2018 trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la riforma in esame.

Di conseguenza, le imprese che attualmente stipulano un contratto di lavoro a tempo determinato o che ricorrono alla somministrazione di lavoro per sopperire al fabbisogno di personale, sono tenute ad applicare la disciplina di seguito illustrata.

 

Nuovo regime del contratto a tempo determinato

In primo luogo, le modifiche alla disciplina previgente apportate dal decreto legge n. 87 del 2018 riguardano la riduzione da 36 a 24 mesi della durata massima del contratto a tempo determinato, con riferimento ai rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti o di periodi di missione in somministrazione a tempo determinato, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dai periodi di interruzione.

Ulteriormente, le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi, mentre in caso di durata superiore, tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza di specifiche ragioni che giustificano un’assunzione a termine.

Prima di guardare alle causali individuate dalla riforma in commento, si segnala che il c.d. “Decreto Dignità” ha eliminato la possibilità che il termine debba risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto, al fine di garantire maggiore certezza in merito alla sussistenza di tale requisito.

Fatta questa precisazione, ecco le casistiche previste dalla legge in caso di stipula di un contratto a termine superiore ai 12 mesi.

 

CONDIZIONI PER CONTRATTI A TERMINE SUPERIORI A 12 MESI

-  esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;

-  esigenze di sostituzione di altri lavoratori;

-  esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

 

In buona sostanza, alla luce della nuova regolamentazione dell’istituto, l’indicazione della “causale” è sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito di proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

 

NB! Come già prevede il d.lgs. n. 81/2015, raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine, le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, purchè vengano accertate la completezza e correttezza formale del contratto (indicazione della causale compresa) e la genuinità del consenso del lavoratore.

Ad ogni modo, i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi.

Inoltre, le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che - facendo riferimento al previgente quadro normativo - abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.

 

Contratto a termine. Proroghe e rinnovi

Guardando al regime delle proroghe e dei rinnovi del contratto a termine, come anticipato sopra, è possibile prorogare liberamente un contratto a tempo determinato entro i 12 mesi, mentre per il rinnovo è sempre richiesta l’indicazione della causale.

In proposito, si ricorda che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine.

Di conseguenza, non è possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto (si verifica l’ipotesi del rinnovo se un nuovo contratto a termine decorre dopo la scadenza del precedente contratto).

Ad ogni modo, il numero massimo di proroghe non può essere superiore a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero dei contratti (non si applica tale regola ai contratti instaurati per lo svolgimento di attività stagionali).

 

NB! Con il termine proroga si indica la prosecuzione nel tempo del contratto, attraverso il rinvio della scadenza inizialmente prevista, per volontà delle parti. Il rinnovo di un contratto si ha, invece, quando il preesistente contratto giunge al termine e si ha la stipula di un contratto ex novo.

 

Contributo addizionale a carico del datore di lavoro

A seguito dell’entrata in vigore del c.d. “Decreto Dignità”, il contributo addizionale a carico del datore di lavoro - pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicato ai contratti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato - è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.

Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%.

In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale, cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo.

Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi.

 

NB! La maggiorazione dello 0,5% non si applica in caso di proroga del contratto, in quanto la disposizione introdotta dal c.d. “Decreto Dignità” prevede che il contributo addizionale sia aumentato solo in occasione del rinnovo.

 

Nuovo regime della somministrazione di lavoro

Il c.d. “Decreto Dignità” ha esteso la disciplina del lavoro a termine alla somministrazione di lavoro a termine (regolamentata dagli articoli 30 e seguenti del d.lgs. n. 81/2015).

Nel dettaglio, posto che risulta estesa al rapporto tra l’agenzia di somministrazione e il lavoratore la disciplina del contratto a tempo determinato, vediamo quanto stabilito dalla nuova normativa.

 

Periodo massimo di occupazione

L’estensione delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore, ha lasciato inalterata la possibilità, riconosciuta alla contrattazione collettiva, di disciplinare il regime delle proroghe.

Tuttavia, il limite temporale di 24 mesi opera tanto in caso di ricorso a contratti a tempo determinato quanto nell’ipotesi di contratti di somministrazione a termine.

Ne consegue che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per affidargli mansioni di pari livello e della medesima categoria legale (il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma).

 

NB! Il rispetto del limite massimo di 24 mesi - ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva - entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale.

 

Condizioni per il ricorso alla somministrazione

Come specificato dalla circolare in commento, in caso di durata della somministrazione a termine per un periodo superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore, o di rinnovo della missione (anche in tal caso presso lo stesso utilizzatore), il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo.

A questo proposito è utile precisare che, invece, non sono cumulabili i periodi svolti presso diversi utilizzatori, fermo restando il limite massimo di durata di 24 mesi del rapporto (o la diversa soglia individuata dalla contrattazione collettiva).

In buona sostanza, l’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore avesse instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.

 

LE POSSIBILI CASISTICHE

In caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 12 mesi, un eventuale periodo successivo di missione presso lo stesso soggetto richiede sempre l’indicazione delle motivazioni, in quanto tale fattispecie è assimilabile ad un rinnovo.

In caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata pari a 12 mesi, è possibile svolgere per il restante periodo, e tra i medesimi soggetti, una missione in somministrazione a termine, specificando una delle condizioni sopra indicate.

In caso di un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi, indicando la relativa motivazione.

 

Limite quantitativo di lavoratori somministrati

La legge del 9 agosto 2018, n. 96, per la prima volta ha introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine, prevedendo la necessità di rispettare una proporzione tra lavoratori stabili e a termine presenti in azienda, ancorché derogabile dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore.

Segnatamente, ferma restando la percentuale massima del 20% di contratti a termine, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine, entro la percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore, limite percentuale che trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta a partire dal 12 agosto 2018 (data di entrata in vigore della legge di conversione del c.d “Decreto Dignità”).

 

NB! Continuano a rimanere esclusi dall’applicazione dei predetti limiti quantitativi i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie richiamate all’articolo 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015, vale a dire:

  • disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali;

  • soggetti svantaggiati o molto svantaggiati.

 

 

QUADRO NORMATIVO

Decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015

Decreto legge n. 87 del 12 luglio 2018

Legge n. 96 del 9 agosto 2018

Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Circolare n. 17 del 31 ottobre 2018

 

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