Contatto indiretto con Covid? No al licenziamento se non si informa il datore
Pubblicato il 10 agosto 2021
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No al licenziamento disciplinare della dipendente che non informa il datore di lavoro di aver avuto, tramite un cliente, un contatto indiretto con un positivo al Covid-19.
E’ quanto sancito dal Tribunale di Treviso, con sentenza n. 278 del 7 luglio 2021, pronunciata in accoglimento dell’impugnazione promossa da una lavoratrice contro il recesso disciplinare che le era stato irrogato per la ritenuta estrema gravità delle condotte dalla stessa poste in essere.
La ricorrente, oltre a sostenere l'illegittimità del licenziamento per asserita tardività della contestazione, aveva lamentato il difetto di proporzionalità tra condotta addebitata e sanzione, chiedendo l'applicazione della tutela indennitaria per le aziende di dimensioni minori di cui al D. Lgs. n. 23/2015 e l'indennità sostitutiva del preavviso.
Parte datoriale sosteneva che la ricorrente era tenuta a comunicare la circostanza di cui era venuta a conoscenza tramite la cliente, in ottemperanza agli obblighi di informazione previsti anche dal Documento di Valutazione dei Rischi aziendale (DVR) .
Il DVR, riprendendo le previsioni dell'art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008, prevedeva infatti che il lavoratore dovesse segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui fosse venuto a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità.
Nel caso di specie, tuttavia, se certamente poteva ritenersi opportuno e preferibile - per un principio di massima precauzione - comunicare il contenuto della conversazione avuta con la cliente al datore di lavoro, non era però possibile ritenere che quanto appreso potesse rappresentare un significativo, concreto e immediatamente percepibile pericolo per la sicurezza nell'ambiente di lavoro.
Assenza di pericolo concreto e immediatamente percepibile per la sicurezza sul lavoro
La dipendente aveva saputo dalla cliente che la figlia di quest’ultima era stata in contatto con una persona positiva al Sars-Cov-2.
Tuttavia:
- non era noto se la cliente vivesse con la figlia o avesse avuto con lei contatti stretti negli ultimi tempi;
- non era noto a quando risalisse il contatto della figlia con il soggetto positivo;
- in ogni caso, la cliente sarebbe stata definibile - al più - come "un contatto di contatto", ossia una persona che (forse) era stata a contatto con un'altra persona che a sua volta era stata a contatto con un positivo.
In proposito, il Tribunale ha evidenziato come, anche attualmente, non si preveda il tampone diagnostico, l'isolamento o la quarantena per i c.d. contatti indiretti.
Secondo quanto emerso, inoltre, la ricorrente si era recata dai Carabinieri riferendo ciò che aveva appreso dalla cliente su tale contatto indiretto ma tale versione era stata poi smentita dalla cliente diretta interessata, di tal ché neppure poteva ravvisarsi un particolare disvalore disciplinare nella condotta della lavoratrice.
Ciò posto, il licenziamento andava dichiarato illegittimo per difetto di proporzionalità tra condotta e sanzione adottata.
Niente giusta causa di recesso per contatto indiretto omesso
Sulla stessa linea anche una recente decisione della Corte d’appello di Palermo: con sentenza n. 937 del 28 luglio 2021, la Corte di gravame siciliana ha confermato una decisione con cui il Tribunale aveva ridimensionato la portata della condotta posta in essere da un dipendente, rispetto alla nozione di giusta causa e di gravità, nell'ambito del contesto temporale in cui la stessa si inseriva.
Al lavoratore era stata addebitata l'omessa comunicazione, al datore di lavoro, della situazione di rischio di contagio che, suo malgrado, lo aveva coinvolto.
Condotta ritenuta senz'altro sussistente, avendo egli obiettivamente impedito alla datrice di valutare l'adozione di eventuali misure a tutela della salute delle persone venute a contatto con il dipendente durante il servizio.
Tuttavia, da un lato, parte datoriale non aveva precisato quale fosse stato lo specifico dovere inadempiuto dal lavoratore.
Dall’altro, l’omissione imputata non poteva dirsi sostenuta da un grado di colpa tale da integrare un illecito disciplinare: quando aveva ricevuto notizia del provvedimento di isolamento fiduciario, il dipendente era in congedo dal servizio, inoltre la misura sanitaria era stata adottata in conseguenza del rischio di contagio doppiamente indiretto, perché derivante dalla presenza di una persona affetta da coronavirus sul luogo di lavoro della moglie.
Andava esclusa, ciò posto, la legittimità del licenziamento disciplinare irrogato al dipendente, atteso che il contatto avuto con una persona positiva al virus era indiretto e tale, quindi, da non mettere in concreto e immediato pericolo la sicurezza sul lavoro.
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