Conciliazione giudiziale e lavoro estero, trattamento fiscale delle indennità per i non residenti

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Con la risposta a interpello n. 98 del 14 aprile 2025, l’Agenzia delle Entrate torna ad affrontare il tema, ormai ricorrente, delle indennità riconosciute all’atto della cessazione del rapporto di lavoro in ambito cross-border, ossia nei casi in cui il rapporto lavorativo coinvolga più Stati per residenza del lavoratore, luogo di prestazione dell’attività e sede del datore di lavoro.

La novità di rilievo introdotta con questa risposta riguarda l’inquadramento convenzionale delle somme conciliative: l’Agenzia chiarisce che esse devono seguire lo stesso trattamento fiscale dei redditi da lavoro dipendente che sostituiscono, superando l’idea che possano rientrare nella categoria dei severance payments. Una scelta che rafforza l’approccio già seguito in precedenti documenti di prassi e che si fonda su una logica di coerenza con il principio OCSE della territorialità della prestazione lavorativa.

A seguire, si esamineranno nel dettaglio il caso concreto, la posizione dell’Amministrazione finanziaria e le implicazioni applicative di questa impostazione.

Il caso analizzato

Il contribuente protagonista del caso oggetto della risposta n. 98/2025 è un cittadino italiano, attualmente fiscalmente residente in Spagna, dove risulta iscritto nel registro della popolazione residente e all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). La sua storia lavorativa è caratterizzata da una significativa mobilità internazionale: per diversi anni è stato dipendente di una società italiana, con cui ha intrattenuto un rapporto di lavoro pluriennale (oltre 15 anni).

Nel corso del rapporto, è stato progressivamente distaccato all’estero: prima in Federazione Russa, dove ha trasferito la propria residenza, poi nella Repubblica di Cuba e infine nella Repubblica dell’Azerbaijan, con mantenimento dello status di cittadino italiano residente all’estero.

A seguito della notifica di un licenziamento, ritenuto dal lavoratore privo di giusta causa, è stato presentato ricorso presso il Tribunale Ordinario competente. Contestualmente, l’Istante ha proseguito la propria carriera professionale firmando un nuovo contratto di lavoro con un datore di lavoro spagnolo, stabilendosi così stabilmente in Spagna.

La controversia con la precedente società italiana si è conclusa con una conciliazione giudiziale, nell’ambito della quale le parti hanno regolato gli aspetti legati alla cessazione consensuale del rapporto. La società ha riconosciuto al lavoratore alcune somme economiche: una parte a titolo puramente conciliativo, e un’altra a titolo di transazione generale e novativa.

Sulla base di queste circostanze, il contribuente ha deciso di interpellare l’Agenzia delle Entrate per ottenere chiarimenti su due aspetti fondamentali:

  1. se le somme ricevute possano essere qualificate come redditi da lavoro dipendente, secondo gli articoli 49 e 51 del TUIR;
  2. quale sia il Paese competente alla tassazione di tali somme, tenuto conto della sua residenza fiscale spagnola e della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna, in particolare l’articolo 15 relativo al lavoro dipendente.

Tali quesiti riflettono una tematica di grande rilievo pratico: quella della corretta qualificazione e localizzazione fiscale delle indennità percepite alla cessazione di un rapporto di lavoro con elementi di internazionalità.

La residenza fiscale del contribuente

In primo luogo, l’Agenzia delle Entrate analizza la posizione fiscale dell’Istante sotto il profilo della residenza, elemento essenziale per determinare la potestà impositiva dello Stato italiano. Nella fattispecie, il contribuente risulta fiscalmente residente in Spagna per l’anno d’imposta in cui ha percepito le somme oggetto della conciliazione giudiziale. A conferma di ciò, l’Istante è iscritto all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE) e al registro della popolazione residente spagnola, avendo trasferito stabilmente la propria residenza nel Paese iberico.

Pertanto, ai sensi della normativa interna (art. 2 del TUIR) e dei criteri OCSE, il contribuente va considerato, per il periodo in esame, non residente in Italia, con tutte le conseguenze che ne derivano in merito all’imponibilità dei redditi percepiti.

L’imponibilità dei redditi per i soggetti non residenti

Accertata la non residenza fiscale in Italia, l’Agenzia prosegue esaminando la disciplina applicabile ai redditi percepiti da soggetti non residenti, con particolare riferimento all’articolo 23, comma 2, lettera a) del TUIR. Secondo tale norma, sono imponibili in Italia i redditi da lavoro dipendente erogati da soggetti residenti nel territorio dello Stato, anche qualora il percipiente non sia fiscalmente residente in Italia.

Nel caso specifico, le somme oggetto della conciliazione sono state corrisposte da una società italiana e, pertanto, sussiste il presupposto soggettivo e territoriale per l’imposizione in Italia, almeno per la parte di reddito che può essere considerata “prodotta nel territorio dello Stato”. Tuttavia, l’Agenzia precisa che, ai fini della concreta tassazione, occorre anche tener conto delle Convenzioni contro le doppie imposizioni, come quella stipulata tra Italia e Spagna, per stabilire l’effettivo Stato titolare del potere impositivo sulle somme percepite.

Qualificazione del reddito da conciliazione giudiziale: principio di onnicomprensività

Nel prosieguo dell’analisi, l’Agenzia delle Entrate affronta la questione della qualificazione fiscale delle somme percepite dal contribuente a seguito dell’accordo di conciliazione giudiziale. Richiamando gli articoli 49 e 51 del TUIR, viene ribadito che tali somme, ancorché corrisposte dopo la cessazione del rapporto, devono essere considerate redditi da lavoro dipendente, poiché collegate in modo diretto al pregresso rapporto lavorativo.

In particolare, l’articolo 49 definisce come redditi da lavoro dipendente quelli derivanti da prestazioni rese alle dipendenze e sotto la direzione altrui, mentre l’articolo 51 introduce il principio di onnicomprensività, secondo cui rientrano nel reddito imponibile tutte le somme e i valori percepiti in relazione al rapporto di lavoro, indipendentemente dalla loro natura o dalla modalità con cui sono corrisposte, incluse le erogazioni a titolo transattivo o liberale.

Sulla base di questo principio, l’Agenzia chiarisce che la mera circostanza che i compensi siano erogati dopo la cessazione del rapporto non ne modifica la natura: ciò che rileva è il loro legame funzionale con l’attività lavorativa prestata. Di conseguenza, le somme oggetto della conciliazione giudiziale conservano la loro natura di redditi da lavoro dipendente, con applicazione delle relative regole impositive.

Trattamento fiscale in ambito internazionale: segmentazione della potestà impositiva

A fronte di tale qualificazione, l’Agenzia passa ad analizzare il trattamento tributario delle somme in un contesto transnazionale, applicando i criteri della normativa interna e quelli derivanti dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna.

In base all’articolo 23, comma 2, lett. a), del TUIR, i redditi da lavoro dipendente corrisposti da un soggetto residente in Italia a un soggetto non residente sono imponibili in Italia, in quanto rientrano nella categoria dei redditi “prodotti nel territorio dello Stato. Tuttavia, la Convenzione bilaterale Italia–Spagna prevale sulla norma interna, disponendo – all’articolo 15 – che i redditi da lavoro dipendente sono tassabili esclusivamente nello Stato di residenza del beneficiario, salvo che l’attività sia stata svolta nell’altro Stato contraente. In tale eventualità, si applica una tassazione concorrente, con possibilità di eliminare la doppia imposizione tramite meccanismi di credito d’imposta.

Nel caso specifico, l’Agenzia si allinea al paragrafo 2.8 del Commentario OCSE all’art. 15, affermando che le somme percepite a titolo di conciliazione devono seguire il medesimo trattamento fiscale dei redditi che sostituiscono. Viene così esclusa la qualificazione come severance payments (par. 2.7), proposta dal contribuente, la quale avrebbe limitato l'imponibilità ai soli ultimi 12 mesi di lavoro. Secondo l’Agenzia, invece, tali somme devono essere proporzionate all’intero arco temporale del rapporto lavorativo, e la tassazione va attribuita in base alla localizzazione dell’attività prestata nel tempo.

Nel dettaglio:

  • le somme riferite al periodo in cui il contribuente era residente in Italia e vi lavorava (fino all’anno x12) sono interamente imponibili in Italia, in quanto lo Stato italiano coincide sia con il luogo della prestazione sia con la residenza;
  • la quota relativa all’attività svolta a Cuba è parimenti tassabile in Italia, poiché manca una Convenzione bilaterale con tale Stato e si applica quindi il solo criterio della residenza del soggetto erogante;
  • per i periodi trascorsi in Russia e Azerbaijan, pur in assenza di una trattazione esplicita nel documento, si ritiene che le somme non siano imponibili in Italia, grazie all’esistenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni con entrambi i Paesi e alla residenza estera del lavoratore in quei periodi.

In sintesi, l’Agenzia adotta una logica di segmentazione territoriale della tassazione, basata sul principio della correlazione tra luogo della prestazione lavorativa e potestà impositiva, ribadendo che le somme percepite in sede di conciliazione giudiziale mantengono la natura di redditi da lavoro e devono essere trattate in coerenza con il contesto internazionale in cui il rapporto si è svolto.

Conclusione

La risposta n. 98/2025 del 14 aprile, pertanto, si inserisce con coerenza nel solco di un orientamento interpretativo già tracciato dall’Agenzia delle Entrate in precedenti documenti, come le risposte n. 343/2020, n. 783/2021 e la più recente n. 81/2025. Essa contribuisce a consolidare il principio secondo cui le somme percepite a seguito di una conciliazione giudiziale, ancorché postume rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro, mantengono la natura di redditi da lavoro dipendente, ai fini della qualificazione fiscale.

In particolare, l’Agenzia ribadisce la centralità del principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente e riafferma la necessità di una segmentazione territoriale della tassazione fondata sulla durata e sulla localizzazione della prestazione lavorativa. Ciò consente di armonizzare le disposizioni interne con i criteri delle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, in particolare l’art. 15 del modello OCSE.

La risposta fornisce così chiarezza interpretativa su un tema particolarmente complesso e attuale, quello delle indennità da cessazione del rapporto in contesti cross-border, offrendo criteri applicabili in modo generalizzato e rafforzando la coerenza dell’impianto tributario italiano con il diritto internazionale pattizio. Si conferma, in definitiva, un approccio che valorizza la tracciabilità della prestazione lavorativa come criterio guida per l’allocazione del potere impositivo.

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