Bancarotta fraudolenta. Aggravante in base al danno ai creditori
Pubblicato il 23 ottobre 2017
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Ai fini dell’aggravante – o attenuante – di cui all’art. 219 Legge fallimentare in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, la valutazione del danno va effettuata in riferimento non all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo, bensì alla diminuzione patrimoniale cagionata direttamente ai creditori dal fatto di bancarotta. Pertanto, il giudizio relativo alla particolare gravità – o tenuità – non si riferisce al singolo rapporto che passa tra fallito e singolo creditore ammesso al concorso, né a singole operazioni commerciali o speculative dell’imprenditore decotto, ma va posto il relazione alla diminuzione – non in percentuale, ma globale – che il comportamento del fallito ha provocato sulla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto, ove non si fossero verificati gli illeciti.
Entità del danno, in base al valore complessivo dei beni sottratti
In tema di reati fallimentari, pertanto, l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta fallimentare, va commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo. Questo mette in luce come la circostanza aggravante possa essere integrata anche in presenza di un danno derivante dal fatto di bancarotta che, pur essendo in sé considerato di rilevante gravità, rappresenti tuttavia una frazione “non rilevante” del passivo globalmente considerato.
Nello stesso tempo, la medesima affermazione non può essere intesa nel senso di riconoscere la circostanza aggravante, anche in presenza di un fatto di bancarotta in sé di rilevante gravità quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, senza tuttavia che il pregiudizio in capo ai creditori, complessivamente considerato, sia esso stesso di rilevante gravità. Una siffatta interpretazione, difatti, priverebbe la circostanza aggravante di cui all’art. 219 (comma 1) Legge fallimentare, della sua connotazione di fattispecie di danno, e non di pericolo.
Sono questi i principi enunciati dalla Corte di Cassazione, quinta sezione penale con sentenza n. 48203 del 19 ottobre 2017, investita del ricorso del gestore di una società dichiarata fallita, avverso plurime condanne per bancarotta, con distrazione di ingenti beni alla procedura concorsuale. Quanto alla contestata aggravante ex art. 219 Legge fallimentare, la Cassazione annulla con rinvio alla Corte territoriale, stante, sul punto, la carenza motivazionale della sentenza impugnata ed essendo ad essa preclusa ogni valutazione di merito per il riconoscimento o meno dell'aggravante medesima.
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