All'avvocato le notifiche per conto del cliente, se è ancora nell'Albo
Pubblicato il 21 gennaio 2019
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Solo la cancellazione dall'albo determina la decadenza del professionista dall'ufficio di procuratore e avvocato, facendo cessare lo jus postulandi.
Ed è con il venir meno di quest'ultimo che si ha, altresì, la perdita, da parte del difensore, della legittimazione a compiere e ricevere atti processuali per conto del cliente.
Senza la cancellazione, quindi, non può assumere alcun rilievo la cessazione di fatto dell'attività professionale, la quale, anche quando si traduce nella rinuncia al mandato, non libera il difensore dal compito di ricevere la notificazione degli atti e darne notizia al cliente; questo, in adempimento del dovere di diligenza professionale che incombe su di lui, a meno che non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro avvocato e la stessa sia stata ritualmente portata a conoscenza delle controparti e dell'ufficio.
Sono questi gli assunti ribaditi dalla Corte di cassazione, Sezioni Unite civili, con sentenza n. 487 del 10 gennaio 2019.
Sezioni Unite: senza rilievo la cessazione di fatto dell'attività
Con questa decisione, gli Ermellini hanno dichiarato inammissibile il ricorso promosso da un avvocato che, nell'ambito di un giudizio in cui era stata confermata la sua responsabilità disciplinare, aveva sollecitato la rimessione in termini ai fini della proposizione del ricorso per cassazione, allegando di essere incorso nella decadenza dell'impugnazione per causa a lui non imputabile.
In particolare, aveva sostenuto di non aver potuto proporre tempestivamente ricorso, in quanto la sentenza impugnata, notificata al suo difensore presso il domicilio eletto per il precedente grado del giudizio, era stata consegnata a persona non avente titolo a riceverla per conto dello stesso.
Difatti – aveva evidenziato - la notifica era stata effettuata presso lo studio del figlio del proprio difensore, che aveva l'ufficio al medesimo indirizzo del padre, e l'atto era stato erroneamente consegnato alla segretaria dello stesso, qualificatasi come addetta alla ricezione.
Il suo difensore, per contro, era stato costretto ad abbandonare la professione in quanto colpito da una grave patologia.
Notifica valida ed efficace
Assunti, questi, che non hanno convinto i giudici di Piazza Cavour, secondo i quali, nella specie, l'attività dello studio professionale era, di fatto, proseguita sotto la guida del figlio dell'avvocato difensore, il quale aveva verosimilmente ereditato l'organizzazione di mezzi e persone predisposta dal padre ai fini dell'esercizio della professione.
Detta circostanza consentiva, a sua volta, di escludere il difetto di legittimazione della dipendente che aveva ricevuto la notifica della sentenza impugnata.
La Suprema corte, sul punto, ha ricordato come, in caso di consegna dell'atto presso lo studio del legale domiciliatario a mani di un soggetto ivi rinvenuto, la qualità di addetto alla ricezione si presume in virtù della mera presenza di quest'ultimo nel luogo in questione, restando pertanto a carico del destinatario della notifica l'onere di dimostrare il difetto di legittimazione della persona, allegando e provando che la sua presenza aveva carattere occasionale o era dovuta ad un rapporto di lavoro non collegato all'attività professionale o non era accompagnata da un'apposita delega.
Così, in presenza di una notifica valida ed efficace, il mero impedimento del difensore, sia pure dovuto a gravi ragioni di salute, non poteva considerarsi sufficiente a giustificare l'inosservanza del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, non traducendosi per l'interessato nell'impossibilità di acquisire conoscenza della sentenza impugnata, della quale avrebbe potuto avere notizia quanto meno dai collaboratori dello studio professionale, e di proporre quindi tempestivamente l'impugnazione, attraverso il conferimento dell'incarico ad un altro avvocato.
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