Trust estero opaco e plusvalenze da partecipazioni societarie: tassazione in Italia
Pubblicato il 07 luglio 2025
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Il 4 luglio 2025 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la risposta a interpello n. 175, intervenendo su una questione di rilevante interesse fiscale: il trattamento della plusvalenza realizzata da un trust estero opaco in occasione della cessione della totalità delle partecipazioni detenute in una società estera, il cui patrimonio è costituito prevalentemente da un immobile situato in Italia.
L’intervento dell’Amministrazione finanziaria chiarisce l’ambito di applicazione dell’articolo 23, comma 1-bis del TUIR, norma che estende la potestà impositiva italiana anche a soggetti non residenti, in presenza di partecipazioni societarie che riflettono indirettamente il valore di beni immobili italiani. La risposta affronta, inoltre, i profili di coordinamento con le convenzioni contro le doppie imposizioni e i possibili effetti in capo ai beneficiari residenti in Italia del trust, nell’ipotesi di successiva attribuzione dei proventi derivanti dalla cessione.
Il caso oggetto dell’interpello
Il caso riguarda un trust estero opaco, ossia una struttura non residente che non imputa fiscalmente i redditi ai beneficiari, titolare del 100% delle quote di una società estera proprietaria di un immobile situato in Italia, detenuto da oltre cinque anni.
Il trust ha proceduto alla cessione integrale della partecipazione, generando una plusvalenza.
Sebbene sia il trust cedente sia la società partecipata siano soggetti esteri, l’operazione risulta indirettamente collegata al territorio italiano, poiché la società possiede un immobile in Italia. Per questo motivo, l’istante ha chiesto all’Amministrazione finanziaria di chiarire il corretto trattamento fiscale della plusvalenza, anche in relazione alla normativa internazionale applicabile.
In particolare, il quesito ha riguardato:
- la sussistenza del presupposto territoriale ai fini dell’imposizione italiana della plusvalenza, ai sensi dell’art. 23, comma 1-bis del TUIR, che disciplina la rilevanza fiscale in Italia delle plusvalenze derivanti da partecipazioni in società il cui valore dipende da immobili italiani;
- la possibile applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni, con riferimento alla Convenzione tra Italia e Stati Uniti, Stato di residenza del trust;
- le eventuali implicazioni fiscali in capo ai beneficiari italiani del trust, qualora venissero loro attribuiti i proventi della vendita.
La risposta dell’Agenzia ha l'intento di rafforzare la tassazione in Italia dei redditi legati al territorio, anche quando sono realizzati tramite soggetti esteri, per contrastare operazioni di pianificazione fiscale aggressiva.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Secondo l’istante, l’art. 23, comma 1-bis del TUIR andrebbe interpretato in coordinamento con l’art. 67, comma 1, lett. b), che disciplina le plusvalenze da cessione diretta di immobili da parte di soggetti non residenti e non imprenditori. In questa logica, la norma sulla tassazione delle partecipazioni il cui valore deriva da immobili italiani sarebbe finalizzata a colmare le ipotesi di detenzione indiretta, estendendo l’imposizione anche a questi casi.
Tuttavia, secondo il trust, la norma non si applicherebbe se l’immobile è detenuto da oltre cinque anni, poiché in tal caso verrebbe meno l’intento speculativo che giustifica la tassazione delle plusvalenze.
In via subordinata, qualora la norma fosse ritenuta applicabile anche in presenza di immobili detenuti a lungo termine, il trust riconosce la tassabilità della plusvalenza in Italia, da calcolarsi come reddito diverso ai sensi dell’art. 68, comma 6 del TUIR, con applicazione dell’imposta sostitutiva del 26%.
Con riferimento alle attribuzioni ai beneficiari residenti, l’istante ritiene che questi sarebbero eventualmente tenuti al versamento della sola imposta di donazione, calcolata sul valore minore tra quanto previsto dal D.Lgs. 346/1990 e il valore fiscale della partecipazione ceduta.
Tassazione della plusvalenza su partecipazioni estere con immobili in Italia e profili per i beneficiari residenti
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 175/2025, ha confermato la tassabilità in Italia della plusvalenza realizzata da un trust estero opaco, sulla base del quadro normativo vigente, che attribuisce rilevanza territoriale ad alcuni redditi prodotti da soggetti non residenti, in presenza di collegamenti significativi con il territorio nazionale.
Di seguito si analizzano il quadro normativo interno e il coordinamento con le convenzioni internazionali, con particolare riferimento agli articoli 23 e 67 del TUIR.
Contesto normativo nazionale
L’Agenzia richiama l’articolo 23, comma 1-bis del TUIR, introdotto per contrastare operazioni elusive attraverso strutture estere interposte. La norma stabilisce che sono considerati prodotti nel territorio dello Stato – e quindi imponibili in Italia – i redditi diversi derivanti da cessioni a titolo oneroso di partecipazioni in società non residenti, quando il valore di tali partecipazioni deriva, anche indirettamente e per oltre la metà, da immobili situati in Italia.
Questa previsione si coordina con l’articolo 67, comma 1, lett. c) del medesimo TUIR, che qualifica come redditi diversi di natura finanziaria le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni societarie. L’art. 23 estende così il criterio della territorialità anche ai soggetti non residenti, quando il valore della partecipazione è legato a beni immobili italiani, superando l’impostazione limitata alla detenzione diretta prevista dall’art. 67, lett. b), come invece sostenuto dall’istante.
Inoltre, l’Agenzia sottolinea che l’anzianità del possesso dell’immobile (anche oltre cinque anni) non esclude l’applicazione della norma: la tassazione si applica comunque, indipendentemente dalla durata del possesso degli asset immobiliari sottostanti.
Coordinamento con le convenzioni contro le doppie imposizioni
L’Amministrazione finanziaria, inoltre, affronta anche il coordinamento con la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti, Stato di localizzazione del trust.
In particolare, si richiama l’art. 1, paragrafo 12 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione, che non esclude la potestà impositiva italiana sulla plusvalenza realizzata da soggetti esteri, riconoscendo una concorrenza fiscale tra gli Stati quando il reddito deriva da beni immobili situati nel territorio italiano.
L’Italia può quindi tassare la plusvalenza secondo la normativa domestica, nel rispetto dei principi OCSE e del criterio del “value derived from immovable property”, anche in presenza della convenzione bilaterale.
Attribuzione dei proventi ai beneficiari residenti in Italia
Pur non pronunciandosi espressamente sul trattamento fiscale da applicare ai proventi eventualmente attribuiti ai beneficiari residenti in Italia, l’Agenzia richiama i chiarimenti contenuti nella circolare n. 34/E del 2022.
In base a tale documento:
- se il trust è localizzato in uno Stato a fiscalità privilegiata, i redditi distribuiti ai beneficiari residenti sono imponibili in capo a questi ultimi, ai sensi degli artt. 44, comma 1, lett. g-sexies, e 45, comma 4-quater del TUIR, salvo che il beneficiario dimostri che si tratta di somme provenienti da patrimonio originario;
- se i redditi sono già stati tassati in capo al trust in Italia, non sono nuovamente tassati in capo ai beneficiari, evitando duplicazioni d’imposta.
Questa impostazione conferma che, in presenza di trust opachi esteri, la tassazione dei beneficiari italiani non è automatica, ma dipende da vari elementi, quali:
- la giurisdizione del trust;
- il trattamento fiscale effettivo;
- la provenienza tracciabile dei proventi.
In assenza di una valutazione specifica sul caso concreto, resta comunque centrale per i beneficiari residenti l’obbligo di documentare con precisione la natura e la provenienza dei redditi ricevuti dal trust, nonché il regime fiscale applicabile al soggetto estero che li ha erogati.
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