Troppi turni di reperibilità? Il datore rischia di dover risarcire il dipendente
Pubblicato il 24 luglio 2023
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E' illegittima una richiesta di svolgimento di un numero di turni di pronta disponibilità in misura abnorme rispetto alla regola fissata dalla contrattazione collettiva.
Questo, qualora si determini un’interferenza nella vita privata del lavoratore, tale da concretizzare un pregiudizio al diritto al riposo del medesimo.
Con ordinanza n. 21934 del 21 luglio 2023, la Corte di cassazione ha accolto, con rinvio, il ricorso promosso dal dipendente di una Azienda sanitaria nell'ambito di una controversia dallo stesso azionata al fine di vedersi risarcire dei troppi turni di reperibilità impostigli dalla datrice di lavoro.
Il lavoratore, dopo che i giudici di merito avevano ritenuto infondate le relative domande, si era rivolto alla Suprema corte, lamentando, tra i motivi, violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. c.c., nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., e delle disposizioni del CCNL applicabile.
Secondo la sua difesa, era erroneo ritenere che la norma contrattuale di riferimento, nello stabilire che “di regola” i turni di pronta disponibilità dovessero essere sei, rendesse giustificato il ricorso ad un numero di turni indefinito ed assai elevato: in questo modo, infatti, la previsione collettiva veniva sostanzialmente neutralizzata.
I motivi di ricorso sono stati giudicati fondati dalla Corte di cassazione.
Mancata fruizione piena dei riposi: sì al risarcimento
Per gli Ermellini, il superamento dei limiti di turni normale, ossia quello previsto come “di regola”, non è in sé ragione di inadempimento datoriale, ma lo può diventare se in concreto si determini un’interferenza tale, rispetto alla vita privata del lavoratore, da far individuare un pregiudizio al diritto al riposo.
In tale contesto - si legge nel testo della decisione - è il concreto atteggiarsi della mancata fruizione piena dei riposi, per le sue modalità di manifestazione, a far sorgere il diritto al risarcimento in ragione del carattere usurante e della lesione della personalità morale del lavoratore, derivante dall’impedimento al ristoro ed alla conduzione di una vita compatibile con gli impegni lavorativi.
Tale pregiudizio, proprio per la natura elastica della norma collettiva, per essere individuato, necessita di un superamento significativo di quel limite, fino al punto di poter dire che la vita personale del lavoratore, in ragione di ciò, sia stata inevitabilmente compromessa.
Nella vicenda esaminata, era indubbio che il profilo dell’inadempimento datoriale non era stato correttamente apprezzato dai giudici di merito e che la norma collettiva di riferimento non consentiva affatto di individuare un diritto dell’ente sanitario di richiedere prestazioni con le abnormi modalità quantitative pretese.
Nel dettaglio, la Corte d'appello aveva ritenuto non eccessivo un numero di turni che, mediamente, si era attestato attorno a dieci turni eccedentari mensili, ovvero su un’entità quantitativa che, al di là della determinazione esatta, si collocava manifestamente al di fuori da ogni proporzione.
Anche se si trattava di prestazione di mera disponibilità, quella dimensione esorbitante di ore era stata tale da interferire senza alcun dubbio sulla vita privata dell’interessato, condizionata per quasi metà del mese nel proprio libero svolgimento.
Danno da pregiudizio alla vita personale
Per quanto riguarda il danno risarcibile - ha poi precisato la Corte - esso matura per il fatto della lesione alla vita personale che scaturisce dalla violazione del diritto al riposo nei termini di abnormità.
In tale contesto, non sono necessarie allegazioni di dettaglio da parte del danneggiato.
Difatti, l’esistenza di ulteriori danni-conseguenza (come quello alla salute) certamente comporterebbe specifici risarcimenti ad essi riconnessi, ma il ristoro prescinde da essi e deriva già dal pregiudizio alla vita personale considerato come tale.
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