TFR mensile: anche l’Ispettorato nega la corresponsione ricorrente

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La quasi certezza, sebbene assai giustificata sul piano normativo, dei più reticenti ha trovato conferma anche da parte dell’INL: il TFR non può essere erogato mensilmente.

Nonostante ciò, l’argomento è stato oggetto di molteplici discussioni tra gli operatori del settore, specie dopo il “breve” periodo consentito dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, che, limitatamente alle mensilità comprese tra marzo 2015 e giugno 2018, prevedeva la possibilità per i dipendenti di richiedere l’erogazione della c.d. Qu.I.R., ovverosia della quota maturanda del trattamento di fine rapporto. 

Cessato l’eccezionale periodo di cui sopra, già la Corte di Cassazione ha affermato che l’eventuale anticipazione del trattamento di fine rapporto, al di fuori delle ipotesi espressamente consentite dalla norma, nonché in assenza di condizioni di miglior favore per il lavoratore previste dalla contrattazione collettiva ovvero da accordi individuali, non sottrae l’erogazione del TFR all’obbligazione contributiva.

Con la nota 3 aprile 2025, n. 616, l’INL affronta la controversa questione dell’anticipo mensile del trattamento di fine rapporto, evidenziando che un automatico trasferimento in busta paga del rateo maturato costituisce una mera integrazione retributiva con conseguenti implicazioni sul piano contributivo.

La ratio della retribuzione differita e le prescrizioni di legge

Il trattamento di fine rapporto è la forma di retribuzione c.d. differita per eccellenza: esso matura durante tutto il corso del rapporto di lavoro per essere erogato, generalmente, solo alla cessazione dello stesso.

Il concetto di retribuzione differita attiene, infatti, a tutte quelle somme che, pur maturando in periodi di paga plurimensili, vengono materialmente corrisposte ad una certa scadenza (come le mensilità aggiuntive) o al verificarsi di un determinato evento (ad esempio, la cessazione del rapporto di lavoro e la liquidazione del trattamento di fine rapporto).

Nel nostro ordinamento, il TFR è espressamente disciplinato dall’art. 2120, Codice Civile, che ne regola non solo le modalità di calcolo, ma anche le ipotesi per la sua erogazione.

Il primo comma dell’articolo sopracitato prevede che il trattamento di fine rapporto venga corrisposto in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, non ammettendo dunque deroghe di sorta. Esso spetta in tutte le ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, nessuna esclusa.

I commi da due a cinque, invece, riguardano la quantificazione del trattamento di fine rapporto spettante.

Come noto, il TFR, salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi, si determina sommando, per ciascun anno di servizio, la retribuzione annua (ivi intesa come tutte le somme, compreso l’equivalente in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro a titolo non occasionale e con espressa esclusione dei rimborsi spese) divisa per 13,5.

Annualmente, poi, con esclusione della sola quota maturata nell’anno, il c.d. Fondo TFR va rivalutato su base composta, sicché detto accantonamento si incrementa di un tasso pari all’1,5% in misura fissa e del 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo delle famiglie di operai ed impiegati, aggiornato dall’ISTAT rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Si noti, al riguardo, che l’arco temporale di maturazione della retribuzione differita in argomento è - anche solo potenzialmente - così ampio da sfuggire anche al principio fiscale di onnicomprensività delle retribuzioni corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, disciplinato dall’art. 51, TUIR. Il trattamento di fine rapporto, infatti, gode della tassazione separata prevista dagli art. 17 e 19, TUIR, sicché esso, oltre a sfuggire agli ordinari scaglioni IRPEF, non è assoggettato a contribuzione previdenziale obbligatoria.

Dal sesto comma, l’art. 2120, Codice Civile si occupa di prescrivere, invece, le ipotesi per le quali è ammesso richiedere un anticipo del trattamento di fine rapporto.

Specificatamente, il prestatore di lavoro con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro ha la facoltà di richiedere, in costanza di rapporto di lavoro, una sola anticipazione del trattamento di fine rapporto, nella misura massima del 70% delle somme accantonate, al ricorrere delle seguenti situazioni soggettive:

  1. eventuali spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;
  2. acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli;
  3. eventuali spese da sostenere durante i periodi di congedo parentale ovvero per formazione (ex art. 7, legge 8 marzo 2000, n. 53).

L’ultimo comma del più volte citato art. 2120 prevede, infine, che, al di fuori delle ipotesi riportate ai precedenti punti a), b) e c), la contrattazione collettiva, di qualsivoglia livello, e gli accordi individuali possano stabilire ulteriori casistiche, di maggior favore per il prestatore di lavoro, per il riconoscimento dell’anticipo del trattamento di fine rapporto.

In tale ambito, come diremo nel paragrafo successivo, non sarà però possibile prevedere l’erogazione automatica e sistematica della quota di trattamento di fine rapporto maturata mensilmente, anche laddove si trattasse di lavoratori a termine o stagionali, in quanto detta evenienza - di fatto - rappresenterebbe una maggiorazione retributiva da assoggettare a contribuzione previdenziale.

E d'altronde, voglia condividersi che l’erogazione mensile della quota del trattamento di fine rapporto, oltreché snaturare la ratio dell’istituto stesso, volto a sostenere economicamente il prestatore che abbia cessato il rapporto di lavoro, faccia ricadere dello emolumento non già nella fattispecie di cui all’art. 17 e 19, TUIR, quanto piuttosto tra i redditi ordinari di cui all’art. 51 del medesimo Testo Unico, venendo - ulteriormente - attratto a contribuzione previdenziale in virtù del c.d. principio di armonizzazione delle basi imponibili.

Nota Bene
Si noti al riguardo che anche l’art. 1, comma 26, legge 23 dicembre 2014, n. 190, istitutivo della Qu.I.R. prevedeva espressamente che la predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria, non rileva ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 19 del testo unico sulle imposte sui redditi (…) e non è imponibile ai fini previdenziali. Una tale specifica del legislatore del 2014 non può, dunque, che avvalorare la tesi appena evidenziata.

 

Dalla Corte di Cassazione alla nota dell’INL

Già la nota ordinanza 22 febbraio 2021, n. 4670 della Corte di Cassazione fece sorgere i primi dubbi di legittimità tra i fautori, seppur minoritari, della tesi secondo cui l’erogazione mensile della quota maturata di trattamento di fine rapporto potesse rappresentare - di fatto - un trattamento di miglior favore per il lavoratore dipendente e, come tale, ritenersi ammesso in virtù del penultimo periodo dell’art. 2120, Codice Civile.

In tale circostanza gli Ermellini, con stringatissime motivazioni, evidenziavano che, in assenza di un provato titolo migliorativo dell’anticipazione del TFR ai lavoratori, l’anticipazione delle somme accantonate fosse ammessa esclusivamente al ricorrere delle condizioni espressamente previste dall’art. 2120, Codice Civile, ovvero dalla contrattazione collettiva. La sussistenza di dette evenienze, unitamente all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro e alle ulteriori limitazioni previste dal citato art. 2120, consentiva la sottrazione dell’emolumento erogato all’obbligazione contributiva.

Un’interpretazione tout court che vide soccombere il datore di lavoro ricorrente, a fronte della condivisibile pretesa dell’Istituto previdenziale.

Il successivo indirizzo amministrativo della Direzione centrale coordinamento giuridico dell’INL - nota 3 aprile 2025, n. 616 - spazza il campo da ulteriori dubbi e perplessità.

Richiamando la citata ordinanza dei giudici di Piazza Cavour, l’INL evidenzia che l’ultimo comma dell’art. 2120, Codice Civile, rimanda alla contrattazione collettiva e ai patti individuali la possibilità di introdurre ulteriori condizioni di miglior favore relative all’accoglimento dell’anticipazione del trattamento di fine rapporto, la cui mancanza, però, comporta che l’erogazione monetaria non possa che qualificarsi quale maggiore retribuzione assoggettata all’obbligazione contributiva.

Al riguardo - condivisibilmente - l’INL precisa che rimane ammessa una pattuizione individuale per le anticipazioni dell’accantonamento maturato all’atto dell’accordo stesso, sempreché ciò non si concretizzi in un mero ed automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile maturato. Tale ultima ipotesi costituirebbe, infatti, una mera integrazione retributiva, in contrasto con la ratio stessa dell’istituto, con conseguenti ricadute sul piano contributivo.

Oltre, dunque, al rischio di corposi recuperi previdenziali, la nota dell’INL indirizza i funzionari ispettivi, ammettendo la possibilità che gli stessi possano intimare al datore di lavoro di accantonare le quote di trattamento di fine rapporto illegittimamente anticipate, attraverso l’adozione del provvedimento di disposizione previsto dall’art. 14, decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

Attenzione
Si rammenta che l’art. 14, decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, è stato recentemente riscritto dal Decreto Semplificazioni, ed ha portato, nel nostro ordinamento, un nuovo potere al personale ispettivo, esercitabile laddove vengano costatate irregolarità rilevanti in materia di lavoro e legislazione sociale non soggette a sanzioni penali o amministrative. Detto potere consente al personale ispettivo dell’INL di diffidare il datore ad ottemperare a quanto rilevato, sanando l’irregolarità riscontrata, non già coperta – come detto – da contropartita penale o sanzionatoria. La mancata osservanza delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori, in tale ambito, comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa da 500,00 a 3.000,00 euro, senza possibilità di applicazione della procedura di cui all’art. 13, comma 2, decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

 

QUADRO NORMATIVO

INL – Nota 3 aprile 2025, n. 616

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