Terzo settore e IVA: le novità del decreto

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Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 288 del 12 dicembre 2025 ed entrata in vigore il 13 dicembre 2025, il Decreto legislativo 4 dicembre 2025, n. 186 introduce un insieme articolato di interventi in materia di Terzo settore, imposta sul valore aggiunto, sport dilettantistico e crisi d’impresa.

Il provvedimento si colloca nel più ampio contesto della riforma fiscale avviata con la legge delega n. 111/2023 e mira, in particolare, a razionalizzare la disciplina IVA, ad allineare la normativa nazionale ai principi dell’ordinamento unionale e a fornire chiarimenti interpretativi rilevanti sul piano delle imposte sui redditi.

Di seguito si fornisce una sintesi delle principali disposizioni.

Terzo settore: nuove regole su plusvalenze, regimi IVA e soglie di accesso

Una delle novità di maggiore impatto introdotte dal decreto legislativo n. 186/2025 è rappresentata dall’inserimento, nel Codice del Terzo settore, del nuovo articolo 79-bis, che disciplina il trattamento fiscale dei beni strumentali nel caso di mutamento della qualificazione fiscale delle attività svolte dall’ente, da commerciali a non commerciali.

La disposizione prevede che, in presenza di tale mutamento, le plusvalenze latenti sui beni relativi all’impresa non concorrano immediatamente alla formazione del reddito imponibile, evitando così un effetto impositivo automatico al solo verificarsi del cambio di qualificazione fiscale.

Il beneficio fiscale è tuttavia subordinato al rispetto di precise condizioni. In primo luogo, l’ente del Terzo settore deve esercitare un’apposita opzione nella dichiarazione dei redditi. In secondo luogo, i beni interessati devono restare destinati allo svolgimento delle attività statutarie di interesse generale, perseguite in via esclusiva per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.

La norma introduce, di fatto, un meccanismo di sospensione (o “congelamento”) della plusvalenza, che non viene tassata fintantoché permane la destinazione dei beni alle attività istituzionali dell’ente. Tale sospensione non è definitiva: il legislatore individua infatti una serie di eventi che determinano il venir meno del beneficio.

In particolare, la plusvalenza sospesa torna a concorrere alla formazione del reddito imponibile:

  • qualora i beni siano destinati a finalità diverse da quelle statutarie di interesse generale;
  • in caso di cessione a titolo oneroso dei beni;
  • in caso di perdita o danneggiamento, anche quando il relativo ristoro avvenga mediante indennizzo assicurativo.

Il decreto disciplina in modo puntuale anche i criteri di determinazione della plusvalenza nei diversi scenari. Nel caso di destinazione a usi diversi, la plusvalenza è pari alla differenza tra il valore normale del bene al momento del cambio di destinazione e il costo non ammortizzato risultante al momento del passaggio dall’attività commerciale a quella non commerciale. In caso di cessione o risarcimento, la plusvalenza è determinata come differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo percepito, al netto degli oneri accessori direttamente imputabili, e il medesimo costo non ammortizzato.

Un ulteriore elemento di flessibilità è rappresentato dalla possibilità di rateizzazione dell’imposizione. Qualora i beni siano stati posseduti dall’ente per un periodo non inferiore a tre esercizi, la plusvalenza può essere assoggettata a tassazione, a scelta dell’ente, in quote costanti fino a un massimo di quattro esercizi, incluso quello di realizzo. Anche in questo caso, la scelta deve risultare dalla dichiarazione dei redditi.

Nel complesso, l’articolo 79-bis introduce una disciplina volta a neutralizzare gli effetti fiscali distorsivi derivanti dal passaggio al regime non commerciale, garantendo continuità operativa agli enti del Terzo settore, pur mantenendo un presidio impositivo in caso di successiva fuoriuscita dei beni dall’ambito istituzionale.

Iva per Terzo settore

Sul fronte dell’IVA, l’articolo 2 innalza a 85.000 euro la soglia di ricavi e proventi per l’accesso al regime forfettario applicabile alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale. La modifica adegua il Codice del Terzo settore alle più recenti evoluzioni della disciplina IVA e semplifica l’operatività degli enti di minori dimensioni.

Ulteriori interventi di coordinamento normativo sono previsti dall’articolo 3, che aggiorna il DPR n. 633/1972 sostituendo i riferimenti alle ONLUS con quelli agli enti del Terzo settore, con esclusione delle imprese sociali costituite in forma societaria. Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal termine di efficacia generale del regime fiscale del Terzo settore.

IVA: estensione dell’aliquota agevolata e revisione della detrazione

In ambito IVA, il decreto interviene anche sull’aliquota applicabile alle attività di interesse sociale. L’articolo 4 estende l’aliquota ridotta del 5 per cento alle prestazioni rese dalle imprese sociali costituite nelle forme del codice civile, equiparandole, sotto il profilo fiscale, alle cooperative sociali.

Revisione della disciplina della detrazione IVA per gli enti non commerciali

Il Titolo III del decreto legislativo n. 186/2025 interviene in modo significativo sulla disciplina della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, con particolare riferimento agli enti che svolgono attività economiche in via non esclusiva.

In primo luogo, l’articolo 9 dispone l’abrogazione del comma 3 dell’articolo 19-bis.2 del DPR n. 633/1972, eliminando una previsione che, nel tempo, aveva generato incertezze applicative in materia di rettifica della detrazione. L’intervento si inserisce in un più ampio processo di semplificazione della normativa IVA e mira a rendere più coerente il sistema delle rettifiche con i principi unionali, riducendo gli adempimenti e le complessità operative per i contribuenti.

Di maggiore impatto sistematico è l’articolo 10, che riscrive integralmente l’articolo 19-ter del DPR n. 633/1972, ridefinendo il regime della detrazione IVA per gli enti non commerciali. La nuova formulazione chiarisce che, per i soggetti che svolgono attività economica in modo non esclusivo, l’IVA relativa agli acquisti di beni e servizi utilizzati promiscuamente, ossia sia per finalità istituzionali sia per attività economiche rilevanti ai fini IVA, è detraibile solo in misura proporzionale alla quota imputabile a tali attività economiche.

A tal fine, il legislatore richiede l’applicazione di criteri oggettivi, coerenti con la natura dei beni e dei servizi acquistati, superando approcci meramente forfettari o discrezionali. L’obiettivo è quello di garantire una detrazione aderente all’effettivo utilizzo dei fattori produttivi nell’ambito delle operazioni imponibili, in linea con i principi affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

Contestualmente, viene rafforzato l’obbligo di contabilità separata, imponendo agli enti non commerciali di distinguere in modo chiaro:

  • le attività per le quali l’ente assume la qualifica di soggetto passivo IVA;
  • le attività che restano fuori dal campo di applicazione dell’imposta.

La contabilità separata diviene, quindi, uno strumento essenziale non solo ai fini organizzativi, ma anche per la corretta determinazione del diritto alla detrazione.

Per gli enti pubblici territoriali, le università, gli enti di ricerca e altri soggetti assimilati, la norma consente di adempiere a tale obbligo nell’ambito delle modalità previste dalla contabilità pubblica obbligatoria, assicurando un coordinamento con i sistemi contabili già in uso.

Enti associativi e sport dilettantistico: proroghe

L’articolo 6 proroga fino al 1° gennaio 2036 l’esclusione dall’IVA per gli enti associativi, assicurando un lungo periodo di stabilità normativa in un ambito tradizionalmente caratterizzato da continui rinvii.

In materia di sport, l’articolo 7 modifica la legge n. 398/1991, estendendo il regime agevolato anche alle società sportive dilettantistiche e aggiornando a 400.000 euro il limite massimo dei proventi per l’accesso al regime forfettario.

Crisi d’impresa: chiarimenti sulle sopravvenienze attive

L’articolo 8 del decreto legislativo n. 186/2025 interviene in modo mirato sulla disciplina delle sopravvenienze attive prevista dall’articolo 88 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), fornendo un’interpretazione autentica del comma 4-ter, con specifico riferimento alle ipotesi di riduzione dei debiti nell’ambito delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza.

La norma chiarisce che non costituiscono sopravvenienze attive imponibili le riduzioni dei debiti dell’impresa che si realizzano:

  • nel concordato nella liquidazione giudiziale;
  • nel concordato minore liquidatorio;
  • nel concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.

Parimenti, il legislatore esclude la rilevanza fiscale delle riduzioni dei debiti anche nelle ipotesi di:

  • concordato minore in continuità aziendale;
  • accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi degli articoli 57, 60 e 61 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza);
  • piani attestati di risanamento di cui all’articolo 56 del medesimo decreto, purché pubblicati nel registro delle imprese;
  • piani di ristrutturazione soggetti a omologazione.

Con tale intervento, il legislatore recepisce e consolida un orientamento volto a evitare che i benefici economici derivanti dalla ristrutturazione dell’indebitamento siano neutralizzati da un’imposizione fiscale immediata, che rischierebbe di compromettere l’efficacia stessa degli strumenti di risanamento.

L’articolo 8 assume rilievo anche sotto il profilo temporale e contenzioso. Il comma 2 stabilisce, infatti, che non si dà luogo al rimborso delle maggiori imposte eventualmente versate in passato a seguito di interpretazioni difformi rispetto a quella ora chiarita dal legislatore. In tal modo, la norma delimita gli effetti dell’interpretazione autentica, evitando impatti retroattivi sui conti pubblici e circoscrivendo il beneficio ai periodi d’imposta ancora aperti o futuri.

Nel complesso, l’articolo 8 rafforza la coerenza tra diritto tributario e disciplina della crisi d’impresa, confermando che la riduzione dell’indebitamento, quando avviene nell’ambito di procedure o strumenti formalmente riconosciuti dall’ordinamento, non rappresenta un incremento di ricchezza effettiva tale da giustificare l’imposizione come sopravvenienza attiva. La disposizione fornisce così un importante punto di riferimento interpretativo per imprese, professionisti e amministrazione finanziaria.

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