Tar Lazio: equo compenso con applicazione flessibile per la PA
Pubblicato il 02 settembre 2021
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Il concetto di “equo compenso”, nella PA, è ancorato a parametri di flessibilità, legati a esigenze di contenimento della spesa e alla natura e complessità delle attività da svolgere in concreto.
E' sulla base di questo principio che il Tar del Lazio ha respinto l’impugnazione promossa dall’Ordine degli avvocati di Roma - con intervento ad adiuvandum dell’associazione dei giovani avvocati (AIGA) - nei confronti dell’avviso pubblicato dall'INPS all’inizio del 2021, volto ad acquisire la disponibilità di 77 professionisti avvocati per svolgere incarichi di domiciliazione e/o sostituzione in udienza presso gli Uffici giudiziari del circondario del Tribunale di Roma.
Nell’avviso erano indicati i compensi che sarebbero stati corrisposti agli avvocati domiciliatari e sostituti (250 euro per le domiciliazioni; 80 euro per le sostituzioni) nonché i requisiti per superare la relativa selezione (voto di laurea, voti conseguiti in alcune particolari materie, anzianità di iscrizione all’ordine sino ad un massimo di 5 anni).
Legittimo l’avviso INPS per domiciliatari e sostituti: respinto il ricorso degli avvocati
Rispetto a tale atto, il COA capitolino aveva lamentato il mancato rispetto dei tariffari minimi e del principio dell’equo compenso fissato dalla Legge n. 247/2012 e della Legge della Regione Lazio n. 6/2019.
Erano stati, inoltre, censurati i criteri di valutazione dei singoli candidati, ritenuti espressione di un eccesso di potere sotto il profilo della irragionevolezza e della illogicità.
Tutti i predetti rilievi sono stati giudicati infondati dal Tribunale amministrativo di Roma, pronunciatosi, nella vicenda in esame, con sentenza n. 9404 depositata il 27 agosto 2021.
Dopo aver riassunto il quadro normativo di riferimento, il Tar ha sottolineato come la regola che presiede la disciplina dei compensi in favore degli avvocati, sia quella dalla libera pattuizione.
Il rispetto dei minimi tariffari di cui all’apposito decreto ministeriale n. 55/2014 – si legge nella decisione - costituisce l’eccezione, in caso ossia di mancato accordo tra le parti.
Nel caso in esame – hanno sottolineato i giudici amministrativi - la “libera pattuizione” era stata sufficientemente garantita, in quanto si prevedeva che, a seguito della procedura selettiva definita dall'INPS, i professionisti individuati fossero comunque liberi di stipulare o meno le singole convenzioni, sulla base degli importi già indicati in sede di adozione dell’avviso.
A seguire anche ulteriori considerazioni del Tar:
- la disposizione della legge professionale forense secondo cui si deve fare comunque riferimento alle tariffe, trova applicazione unicamente per taluni soggetti imprenditoriali (imprese assicurative e bancarie) dotate di una certa forza contrattuale, non anche per le pubbliche amministrazioni, ivi non espressamente contemplate;
- l’estensione automatica e inequivoca delle disposizioni sull’equo compenso sulla base dei minimi tariffari è stata operata dal legislatore soltanto con riguardo alla particolare categoria di liberi professionisti di cui all’art. 1 della Legge n. 81/2017 e non anche nei riguardi della pubblica amministrazione;
- per la pubblica amministrazione il concetto di “equo compenso” trova sì applicazione ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al DM 55/2014.
Pubblica amministrazione e professionisti, equo compenso flessibile
In definitiva, il concetto di “equo compenso”, per quanto riguarda la Pubblica amministrazione, deve ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati a esigenze di contenimento della spesa pubblica e alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto.
Orbene, nel caso esaminato, le attività che avrebbero dovuto svolgere i singoli legali selezionati erano di mera domiciliazione o di sostituzione, relativamente a cause caratterizzate da ampia ripetitività e costante serialità.
Il compenso indicato, ciò posto, era da ritenere sufficientemente coerente con i principi di cui all’art. 36 della Costituzione, circa il salario minimo e dignitoso.
Criteri di selezione, ampia discrezionalità della PA
Per quel che riguarda, infine, i criteri di selezione indicati dall’INPS, il Tar ha sottolineato che si tratta di terreno rientrante nella sfera di più ampia discrezionalità della pubblica amministrazione.
Tale discrezionalità “potrebbe essere sindacata unicamente sotto il profilo di manifesta incongruità o di palese illogicità delle scelte che, in ogni caso, la difesa di parte ricorrente non si è premurata in alcun modo di evidenziare”.
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