Stabile organizzazione non necessaria per la qualifica di società commerciale

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Stabile organizzazione non necessaria per la qualifica di società commerciale

L’esistenza di una stabile organizzazione in Italia non è una condizione necessaria affinché un soggetto possa essere qualificato come società commerciale ed affinché gli atti da esso compiuti in territorio italiano possano essere ricondotti all’esercizio dell’impresa.

Difatti, la circostanza che una società non residente non abbia in Italia una stabile organizzazione non esclude che gli atti, produttivi di reddito, compiuti sul territorio nazionale siano ascrivibili all’esercizio dell’impresa commerciale di cui la società è titolare e che, di conseguenza, quel reddito sia qualificabile come reddito d’impresa.

Lo ha precisato la Quinta Sezione civile della Corte di cassazione con ordinanza n. 19862 del 20 giugno 2022, pronunciata in rigetto del ricorso avanzato da una società belga.

Quest'ultima, nell'opporsi a un avviso di accertamento notificatole dall'Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione di “redditi d’impresa”, conseguiti in territorio italiano a titolo di “plusvalenza patrimoniale" in relazione alla vendita di alcuni terreni avvenuta nel 2004, aveva sostenuto che, in quanto società non residente in Italia e non dotata di stabile organizzazione sul territorio nazionale, non potesse compiere atti, in Italia, riconducibili all’esercizio dell’impresa commerciale.

Sul punto, la Suprema corte ha sottolineato come, ai sensi dell’art. 55, comma 1, Tuir, “sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali”.

Per esercizio di imprese commerciali, invece, si intende "l’esercizio per professione abituale, anche se non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c...”.

Orbene, per gli Ermellini nella specie era chiaro che la contribuente esercitasse un’impresa commerciale al tempo della compravendita dei terreni edificabili in esame, avente ad oggetto una delle attività indicate nei nn. 1) e 2) dell’art. 2195, coma 1, c.c., o un’attività ad esse ausiliaria ex art. 2195, comma 1, n. 5 c.c.

La stessa compagine, del resto, nel contestare che la vendita dei terreni in Italia fosse avvenuta nell’esercizio di un’attività commerciale, si era ben guardata dall’indicare a quale attività tale vendita fosse ascrivibile e quale tipo di reddito avrebbe prodotto in capo ad essa.

Ciò posto, l’Ufficio finanziario, verificato un reddito da plusvalenza conseguito nell’esercizio di un’impresa commerciale, aveva correttamente emesso un avviso di accertamento nel rispetto dei presupposti di legge, senza che potessero ritenersi riscontrabili violazioni degli artt. 39 e 41 del DPR n. 600/1973 o dell’art. 152 Tuir, per come invece lamentati dalla società ricorrente.

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