Sospetto di illecito? Legittimo il controllo sul pc del dipendente
Pubblicato il 23 settembre 2021
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Quando è possibile, per il datore di lavoro, eseguire controlli sul pc in dotazione del dipendente nel caso in cui vi sia il sospetto della commissione di un illecito?
La Corte di cassazione ha risposto al predetto interrogativo nel testo dell’interessante sentenza n. 25732 del 22 settembre 2021, con la quale ha ricostruito il quadro entro il quale i “controlli difensivi” tecnologici possono considerarsi ancora legittimi dopo la modifica dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
Per la Suprema corte, i controlli, anche tecnologici, volti ad evitare comportamenti illeciti o tutelare beni estranei al rapporto di lavoro, sono consentiti purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore.
In ogni caso, il controllo dovrà riguardare dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto.
Laddove non ricorrano tali condizioni, la verifica della utilizzabilità, a fini disciplinari, dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in particolare dei suoi commi 2 e 3.
Controllo del computer del singolo lavoratore, condizioni
Perché possano essere ritenuti legittimi, pertanto, i controlli tecnologici sul pc del singolo lavoratore sospettato di aver commesso un illecito dovranno ricorrere due condizioni:
- occorre che sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione degli interessi e dei beni aziendali e le tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore;
- si deve trattare di controlli ex post rispetto all’insorgere del sospetto.
Il caso esaminato dalla Cassazione riguardava una lavoratrice che aveva impugnato il licenziamento per giusta causa intimatole dalla datrice di lavoro, una Fondazione, per aver utilizzato i mezzi informatici messi a sua disposizione per fini privati e per aver cagionato danni al patrimonio aziendale.
La datrice, che aveva subito danni alla rete informatica a causa di un virus, aveva effettuato alcuni accertamenti sui computer dei dipendenti, verificando che il predetto virus era stato introdotto nella rete aziendale attraverso un file scaricato dalla dipendente da siti visitati per ragioni private, estranee all’attività lavorativa.
Ciò posto la lavoratrice era stata licenziata.
La Cassazione sui controlli difensivi
Con l’occasione, la Corte di legittimità ha reso un’ampia disamina sulla tematica dei “controlli difensivi” prima e dopo la modifica dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ricordando come sia la giurisprudenza di merito sia la dottrina si siano poste la questione della eventuale sopravvivenza di tale tipo di controlli dopo la modifica citata, intervenuta ad opera dell’art. 23 del D. Lgs. n. 151/2015 (uno dei decreti del cd. Jobs act) senza addivenire a risposte univoche.
Controlli difensivi in senso lato e in senso stretto
La Corte, in proposito, ha ritenuto opportuno fare chiarezza sulla distinzione tra i controlli che vengono svolti a difesa del patrimonio aziendale e che riguardano tutti i dipendenti nello svolgimento della loro prestazione di lavoro (controlli difensivi in senso lato), e i controlli difensivi in senso stretto, diretti ad accertare, specificamente, condotte illecite ascrivibili ai singoli dipendenti in presenza di fondato sospetto della commissione di un illecito.
I controlli del primo tipo dovranno essere necessariamente realizzati, a pena di illegittimità, nel rispetto delle previsioni dell’art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti e regole.
Il secondo tipo di controlli, anche se effettuati con strumenti tecnologici, restano, invece, all’esterno del perimetro di applicazione del menzionato art. 4, non avendo ad oggetto la normale attività del lavoratore.
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