Società tra avvocati e soci di capitale: il CNF rimette alla Consulta

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Il Consiglio Nazionale Forense, con l’ordinanza n. 87 depositata il 24 ottobre 2025, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis della Legge n. 247 del 2012 (Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense), introdotto dalla Legge n. 124 del 2017.

La disposizione consente la partecipazione di soci di capitale, entro il limite di un terzo, nelle società tra avvocati (Sta).

Secondo il CNF, la norma potrebbe violare gli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione, ponendo a rischio l’autonomia e l’indipendenza dell’avvocatura, elementi essenziali del diritto di difesa.

Le origini del ricorso UNCC  

L’impugnazione dell’Unione delle Camere Civili  

Il ricorso trae origine dall’iniziativa dell’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC), che aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine di Roma la cancellazione di due Srl dall’Albo speciale delle Sta.

Le società, partecipate da un imprenditore nel settore assicurativo e dei servizi di lusso, svolgevano anche attività formative e commerciali, determinando – secondo l’UNCC – una commistione tra funzione difensiva e interessi economici estranei alla professione.

Le difese delle società interessate  

Le Srl hanno sostenuto la conformità dei propri statuti alla normativa, evidenziando che due avvocati detenevano i due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, nonché la maggioranza del consiglio di amministrazione.

Le attività accessorie, come la formazione professionale, sono state qualificate come compatibili con l’esercizio dell’attività forense.

Le motivazioni del CNF  

Indipendenza e conflitto d’interessi  

Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto fondate le preoccupazioni dell’UNCC, affermando che la partecipazione di soci di puro capitale può compromettere l’indipendenza del difensore.

Il diritto di difesa – si legge nell’ordinanza – deve essere esercitato «in totale autonomia, privo di condizionamenti economici o politici», poiché volto non solo alla tutela del professionista, ma al superiore interesse di una giustizia giusta.

Richiamo alla giurisprudenza europea  

Il CNF ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 19 dicembre 2024 (causa C-295/23), nella quale la Grande Sezione ha riconosciuto la facoltà per gli Stati membri di vietare la partecipazione di investitori puri alle società tra avvocati.

Secondo la Corte, esiste una “incompatibilità assoluta” tra l’attività forense, che risponde a esigenze di interesse generale, e quella dell’investitore di capitale, orientata esclusivamente al profitto.

I profili di incostituzionalità sollevati  

I principi costituzionali coinvolti  

Il CNF ha individuato potenziali violazioni:

  • art. 24 Cost., che tutela l’indipendenza del difensore e il diritto inviolabile di difesa;
  • art. 41 Cost., che subordina la libertà economica all’utilità sociale;
  • art. 111 Cost., che impone l’imparzialità del processo e la libertà della difesa;
  • art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina normativa.

Rinvio alla Corte costituzionale  

Ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, il CNF ha sospeso il procedimento e rimesso gli atti alla Consulta.

La Corte dovrà ora stabilire se la partecipazione di soci di puro capitale nelle società tra avvocati sia compatibile con i principi costituzionali che regolano la professione forense.

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