Sicurezza sul lavoro e Covid: datore condannato per omissione di atti dovuti
Pubblicato il 21 marzo 2022
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Annullata, con rinvio, la sentenza di assoluzione pronunciata dal GIP, con la formula "perché il fatto non sussiste", nei confronti dell'amministratore delegato di un istituto di credito, imputato dei reati a lui ascritti in relazione ad alcune omissioni compiute nell'ambito della pandemia Sars-Cov-2, con particolare riferimento al documento di valutazione del rischio (DVR) sulle malattie trasmissibili e alla designazione del responsabile per la sicurezza.
La Procura aveva impugnato la predetta decisione deducendo violazione di legge per avere, il giudicante, erroneamente interpretato il dato normativo di riferimento.
Secondo la ricorrente, infatti, l'AD doveva essere chiamato a rispondere delle omissioni contestatigli nell'imputazione anche se lo stesso aveva delegato, con atto notarile, alcune funzioni sulla sicurezza ad un dirigente.
La delega non riguarda l'intera organizzazione? Il delegato non è datore di lavoro
La Suprema corte, con sentenza n. 9028 del 17 marzo 2022, ha accolto il predetto ricorso dopo aver evidenziato che la motivazione della decisione impugnata doveva essere esaminata partendo dalla circostanza di fatto - accertata e ritenuta condivisibile dallo stesso Tribunale - che lo stesso soggetto delegato aveva dichiarato di dover essere ritenuto titolare del rapporto di lavoro "in senso prevenzionale/sicuristico", ma "non anche in senso giuslavoristico".
Questa circostanza imponeva di concludere che la sua posizione giuridica non era assimilabile a quella del datore di lavoro, per come fissata dall'art. 2, lett.b) del D. Lgs. n. 81/2008, articolo, questo, che individua il datore di lavoro nella persona "titolare del rapporto di lavoro" o che comunque "ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa" con riferimento a tutta l'operatività aziendale.
L'unicità del concetto di datore di lavoro - ha continuato la Corte - impone di escludere che la relativa figura possa essere sotto-articolata a seconda delle funzioni svolte o dei settori produttivi e che la medesima organizzazione, ove unitaria, o una sua unità produttiva possano conoscere la compresenza di più datori di lavoro.
Del resto, l'interpretazione dell'art. 2 nei termini appena esposti, trova conferma in plurime decisioni della Corte di legittimità, con cui è stato affrontato il tema di chi debba essere considerato "datore di lavoro" in relazione ai poteri di gestione dell'intera unità organizzativa, con richiamo, tra le altre, alla sentenza n. 32899/2021 che ha dato chiara lettura del dato normativo riferito a organizzazioni complesse e articolate su più unità organizzative.
Nel caso esaminato, quindi, una volta escluso che l'atto notarile richiamato avesse per oggetto l'intera organizzazione e l'intero rapporto giuslavoristico, doveva concludersi che il delegato non rivestiva la qualifica di datore di lavoro - rimasta, invece, in capo all'imputato - ma era stato investito di una delega parziale di funzioni e responsabilità che non includeva l'attribuzione di poteri decisionali e di spesa riferiti all'intera struttura organizzativa.
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