Sicurezza negli appalti. Niente condanna per il proprietario non committente

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Sicurezza negli appalti. Niente condanna per il proprietario non committente

Va esclusa la responsabilità penale per violazione degli obblighi di sicurezza in capo al comproprietario dell’immobile appaltato che non si sia ingerito nell’esecuzione delle opere.

Obblighi di sicurezza: gravano sul committente

In tema di appalti, gli obblighi di sicurezza di cui agli articoli 26 e 90 del Decreto legislativo n. 81/2008 gravano esclusivamente sul committente, ovvero colui che ha stipulato il contratto, anche se non proprietario del bene che si avvantaggia delle opere affidate.

Per contro, non può dirsi configurata alcuna responsabilità a carico del proprietario non committente che non si sia ingerito nell’esecuzione delle opere, pur in assenza di una delega di funzioni.

Violazione sicurezza negli appalti, chi risponde dell’infortunio?

Sono questi i principi ribaditi dalla Corte di cassazione, Quarta sezione penale, nel testo della sentenza n. 34893 del 31 luglio 2019, con la quale è stata annullata una condanna penale per il reato di omicidio colposo conseguente a violazione delle norme antinfortunistiche, limitatamente alla posizione della comproprietaria dell’immobile oggetto dei lavori.

Nell’ambito di un appalto per la ristrutturazione di un immobile, in particolare, i giudici di merito avevano condannato i committenti, il datore di lavoro e l’elettricista incaricato, ritenuti responsabili per avere causato, con condotte negligenti, imprudenti e non conformi alla normativa in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il decesso di un operaio, rimasto folgorato dal contatto con una prolunga non a norma.

Ruolo di committente da provare

La Corte d’appello, in detto contesto, aveva affermato la responsabilità di quella che era, unitamente al marito, la proprietaria dell’immobile oggetto dei lavori, desumendo il suo ruolo di “committente formale dal verbale di contravvenzione che l’Ispettorato del lavoro aveva indirizzato sia a lei che al coniuge, appunto in qualità committenti.

Nei fatti, tuttavia, era emerso che solo il marito si era occupato dei contratti e dei rapporti con i professionisti e con le imprese.

I giudici di legittimità hanno così ritenuto che la motivazione in ordine alla posizione di garanzia della ricorrente fosse contraddittoria e manifestamente illogica.

Nella stessa motivazione, infatti, era stato dato rilievo ad un dato del tutto neutro (l’indicazione nel verbale dell’Ispettorato) ma non era stato evidenziato alcun significativo elemento probatorio da cui desumere la posizione di “committente” asseritamente assunta dalla donna.

Erano assenti, ad esempio, indizi relativi alla gestione delle pratiche amministrative o al pagamento dei professionisti e degli imprenditori, ossia elementi che, unitamente al dato formale della proprietà e ai rapporti di affinità con l’altro committente, avrebbero potuto dimostrare l’assunzione effettiva e sostanziale del ruolo di committenza, insieme al coniuge.

Per questo, la sentenza di condanna a carico dell’imputata è stata annullata (anche se con rinvio per un nuovo giudizio), mentre è stata confermata la responsabilità penale pronunciata in capo al marito e agli altri imputati.

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