Responsabilità amministrativa: società condannata se trae beneficio dall’illecito commesso dal suo amministratore
Pubblicato il 10 gennaio 2018
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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 295/18, pubblicata il 9 gennaio 2018, affronta un caso di responsabilità amministrativa in capo ad una società (ex Dlgs n. 231/2001), che viene condannata anche se a commettere il reato è stato il suo legale rappresentante.
Per la Suprema Corte si configura il reato di responsabilità amministrativa e la società è condannata per la truffa sui fondi Ue in base agli articoli 5, comma 1, lett. a), 6 e 24 del Decreto legislativo n. 231/01, perché da tale truffa l’ente ha tratto un indebito vantaggio concorrenziale sul mercato di riferimento.
Il reato è stato compiuto dall’amministratore unico della Spa, che ha incassato i contributi europei destinati agli investimenti tecnologici nel Sud, emettendo una serie di fatture che hanno tratto in inganno la banca concessionaria dei fondi. Di fatto, non vi è stato alcun investimento concreto: gli investimenti programmati, infatti, non sono mai stati realizzati e i fondi ricevuti non investiti come si sarebbe dovuto.
La responsabilità del soggetto ricade sulla società se essa ne trae vantaggio
Secondo il Dlgs n. 231/01, la responsabilità dell’ente risulta esclusa quando l'illecito penale è compiuto nell'esclusivo interesse di chi agisce o di terzi (per esempio l’amministratore unico), mentre è condannabile anche l’ente nel caso in cui il reato commesso dalla persona fisica è consumato nell’”interesse o vantaggio” dell’ente stesso.
Ovviamente l’interesse esclusivo dell’amministratore si configura solo nel caso in cui lo stesso mette in atto condotte estranee alla politica d’impresa. Al contrario, rientrano nell’interesse dell’ente/società tutte quelle condotte che trovano una spiegazione e una causa nella vita societaria.
Il reato dell’amministratore ricade sulla Spa
Questo è il caso individuato dalla Suprema Corte, nella sentenza n. 295/18, rispetto al caso di specie. La Spa, infatti, grazie ai finanziamenti Ue presi dall’amministratore e non sfruttati per lo scopo fissato è riuscita a consolidare la sua posizione sul mercato di riferimento; senza, al contempo, dimostrare di avere modelli di gestione adeguati a garantire la trasparenza.
In altri termini, la società si è avvantaggiata del reato compiuto dal suo amministratore incrementando in modo illecito le sue disponibilità senza poi impiegare i finanziamenti agevolati.
Per tale vantaggio di cui la società si è giovata, valutabile sotto forma di ogni utilità potenziale o effettiva, valutabile anche ex post sulla base degli effetti che in concreto derivano dalla realizzazione dell'illecito, essa è quindi condannata in base al Dlgs 231/01 per truffa sui fondi Ue.
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